“Oggi riesco a camminare ma quattro proiettili nelle gambe non ti lasciano più come prima”. Mons. Christian Carlassare, il vescovo comboniano di Rumbek in Sud Sudan che lo scorso anno fu vittima di un grave attentato nella notte tra il 25 e il 26 aprile, nonostante ciò andrà a Juba dal Papa a piedi con un centinaio di giovani della sua diocesi. Camminerà insieme a loro 40 chilometri al giorno per 8 giorni, con catechesi e momenti di riflessione sulla riconciliazione e l’unità, tra il fango e l’acqua della stagione delle piogge e l’insicurezza delle strade interne, spesso oggetto di attacchi da parte delle milizie. “L’unico dubbio è sulla resistenza delle mie gambe ma penso di potercela fare. Comunque ci faremo accompagnare da alcune automobili – dice al Sir -. È importante che i giovani intendano il cammino come una marcia della pace per andare incontro al Papa. Chiederemo al governo un’attenzione particolare alla sicurezza e faremo un appello alle milizie perché non ci siano scontri”. È questo il clima che si respira a poche settimane dalla visita di Papa Francesco in Sud Sudan dal 5 al 7 luglio, dopo la precedente tappa nella Repubblica democratica del Congo dal 2 al 5. Per il Papa sarà un viaggio in zone di conflitto in sedia a rotelle, a causa del dolore al ginocchio. Una situazione quasi simbolica che può essere equiparata alla stanchezza della popolazione, provata da anni e anni di violenza e quasi disillusa dalla possibilità di raggiungere finalmente la pace e l’unità. L’attuale governo di unità nazionale proclama la pace a parole eppure nei fatti c’è ancora tanta violenza. Gli ultimi gravissimi attacchi sono avvenuti nello Unity State, con villaggi bruciati, violenze e stupri. “È importante che anche la popolazione faccia scelte di pace e disarmi i propri territori per rendere reale questo cammino”, sottolinea il vescovo di Rumbek: “Speriamo che la visita del Papa contribuisca a rilanciare il processo di pace e a darci quell’unità e quella riconciliazione di cui abbiamo tanto bisogno”.