“La fascia 30-34 anni vede quasi un lavoratore su 8 (11,9%) assolutamente povero (inferiore o uguale a 9000 euro di reddito complessivo all’anno, soglia stimata secondo parametri Istat in base alle differenti appartenenze geografiche) nonostante lavori, e un altro 17,6% con un reddito comunque da lavoratore povero”. Sono questi i risultati di una prima analisi di una ricerca realizzata dall’Area Lavoro Acli in collaborazione con l’Iref, l’istituto di ricerca delle Acli, su circa un milione di dichiarazione dei redditi del 2020 presentate al Caf Acli. “Se si guarda ai 35-39enni, alla soglia dei quarant’anni, la situazione non cambia di molto: il 26,3%, oltre 1 su 4, sono lavoratrici o lavoratori poveri (il 10,5% poveri assoluti più il 15,8% di poveri): un miglioramento di soli 3 punti percentuali che sembra dire che per molti di loro il tempo e l’esperienza non li farà uscire dalla povertà, che nella povertà si resta parcheggiati, che la carriera resta piatta”.
Secondo il vicepresidente nazionale delle Acli, Stefano Tassinari, “anche se il 2020 è stato un anno molto particolare, questa prima analisi ci dice che il lavoro dipendente più stabile e continuativo, potremmo dire di chi sta meno peggio, soprattutto tra i trentenni (30-39) fatica ad assicurare quell’esistenza libera e dignitosa” che “la Costituzione imporrebbe ad ogni lavoro”. “Serve aprire una riflessione sulla ricchezza e sul prevalere di un suo uso avido, speculativo, spesso elusivo e poco trasparente, e sul suo accentrarsi in poche mani – ha aggiunto Tassinari –. Serve mettere in campo un’economia che cerchi la produttività non al massimo ribasso dei costi del lavoro e dei fornitori ma, come fanno alcune realtà di eccellenza, nel lavoro di qualità, nella crescita professionale e individuale delle persone che lavorano, nella partecipazione e nella collaborazione con loro, nel fare rete tra aziende e comunità, nella collaborazione vera con i paesi e i territori più poveri. Un’alleanza a tutto tondo per un’economia che sia autenticamente civile”.