“Attenzione sì, ma nessun allarmismo. Al momento la situazione è sotto controllo”. A smorzare i toni allarmistici utilizzati da qualcuno nei confronti del Monkeypox, il vaiolo delle scimmie arrivato anche in Italia – un primo caso identificato oggi presso l’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, dove sono sotto osservazione altri due casi sospetti – è Roberto Cauda, responsabile Malattie infettive al Policlinico Agostino Gemelli e consulente esterno dell’Ema. Interpellato dal Sir, il professore spiega che si tratta di qualche decina di casi identificati soprattutto in Spagna, Portogallo e Regno unito. Il Monkeypox virus, prosegue, “è un virus presente in Africa nelle scimmie e nei roditori, apparentato al virus del vaiolo ma molto meno diffusivo e meno grave: la sua trasmissibilità è assolutamente inferiore a quella del Sars-Cov-2”. La malattia si può contrarre “attraverso il contatto stretto con saliva e liquidi biologici, sia con animali che con uomini”, e si presenta con sintomi come “febbre, malessere generale, dolori muscoli, linfoadenopatia ma soprattutto manifestazioni a livello della cute come vescicole e pustole”. La vaccinazione contro il vaiolo può costituire un fattore protettivo? “In parte sì, ma teniamo presente che il vaiolo è scomparso alla fine degli anni ‘70 e la vaccinazione non è più obbligatoria nel nostro Paese dal 1981”. Tuttavia, rassicura l’infettivologo, “non bisogna allarmarsi: si tratta di una malattia che guarisce spontaneamente; in alcuni casi può dare forme gravi ma di norma si risolve con riposo senza terapia”. Quindi “attenzione sì, nel senso che in presenza di sintomi occorre rivolgersi immediatamente al medico, ma niente panico”. L’importante, conclude ricordando che un’epidemia di Monkeypox si è verificata nel 2003 negli Usa, “è identificare i casi e tracciarli per circoscriverli”.