Come parlare della guerra? Come sostenere la questione con bambini e ragazzi? Quali sono le indicazioni operative? Il numero speciale della rivista “Essere a Scuola” (Editrice Morcelliana), fondata e diretta da Pier Cesare Rivoltella, è un fascicolo monografico digitale sul tema di come raccontare la guerra ai più giovani ed è pubblicato in versione Open Access, per raggiungere il maggior numero di insegnanti, formatori ed educatori.
Come per i numeri speciali sulla pandemia, “La scuola a casa” di marzo 2020 e “La scuola a casa. Un anno dopo” di aprile 2021, questo fascicolo monografico sul tema “La guerra in classe” vuole fornire gli strumenti di riflessione dal punto di vista metodologico e le chiavi di accesso ai problemi della didattica che gli insegnanti possono trovarsi ad affrontare. Intervengono con le proprie riflessioni specialisti di diversa formazione, dal pedagogista allo psicologo, dallo storico al filosofo, in uno sguardo multiprospettico su questo snodo importantissimo per chi si occupa di educazione.
“Questa guerra va assolutamente raccontata ai bambini: non ci sono dubbi. Le motivazioni sono diverse. La prima – scrive, nell’editoriale dello speciale, Pier Cesare Rivoltella – è che in una società mediatizzata come la nostra, le immagini della guerra li raggiungerebbero comunque, a prescindere dai nostri tentativi di tenerli al riparo da quelle immagini”.
Ancora, “educare non è proteggere. Educare comporta di accettare il rischio, di metterlo in conto. Non ha senso provare a costruire l’immagine illusoria di una realtà depurata da tutto ciò che comporta sofferenza e porta in gioco l’angoscia della morte. La vita è fatta anche di questo. I bambini, anche se sono piccoli, lo possono capire molto bene”.
Inoltre, “occorre educare all’empatia, creare le condizioni perché ci si possa mettere nei panni degli altri. È questo e non la commozione superficiale a mettere le basi perché la nostra solidarietà possa continuare a mobilitarsi anche tra qualche tempo, quando appunto l’emozione sarà scemata”. E “l’empatia deve innescare la partecipazione. Questo significa chiedersi cosa si possa fare. La guerra sugli schermi è una guerra vicina nelle immagini ma lontana nello spazio. Il rischio che la nostra partecipazione rimanga a bassa definizione è forte e invece occorre ‘scendere da cavallo’ come il samaritano sulla strada di Gerico”.
Infine, conclude Rivoltella, “raccontare la guerra ai bambini serve a riscattare le immagini da una topica dello spettacolo che a lungo andare produce un effetto anestetico: lo stesso effetto che tra qualche tempo, se la guerra durerà, se il conflitto si cronicizzerà, porterà le notizie a essere meno coperte dai media, come è accaduto a suo tempo per la Cecenia, come sta accadendo per l’Afghanistan”.