“Non si commemorano soltanto una tragedia sismica e le vittime che ha provocato, ma si testimonia la vita che non soccombe e si erge indomita: sfida la morte e nel duello esce vittoriosa. L’amore, infatti, ha la meglio sulla morte: non viene meno, non diminuisce col passare degli anni, ma si rafforza ogni giorno di più”.
Lo ha detto l’arcivescovo de L’Aquila, card. Giuseppe Petrocchi, celebrando questa notte a L’Aquila, nella chiesa di S. Maria del Suffragio, la messa nella ricorrenza del 13° anniversario del terremoto, che devastò il capoluogo abruzzese e il suo territorio. La celebrazione ha concluso la fiaccolata notturna che ha visto una partecipazione “commossa e corale” degli aquilani. “La luce delle torce, del vostro corteo, ha squarciato il buio della notte: questi bagliori anticipano la luce del giorno che scaccia ogni oscurità. Sono profezia del Sole che sorge”, ha sottolineato il card. Petrocchi, richiamando la simbologia pasquale, quando la Chiesa proclama la “notte luminosa in cui è uccisa la morte e trionfa la vita”. La Pasqua, ha spiegato l’arcivescovo, “eternizza” i legami affettivi recisi dal sisma, dando loro “il timbro indelebile del ‘per sempre’”. La Pasqua “modifica la grammatica con cui è pensato l’evento della morte: quando si parla di una persona che è passata dal tempo all’eternità, non è giusto dire che ‘è scomparso’, ma doveroso affermare: ‘continua ad essere presente’; e l’espressione stridente ‘estinto’ o ‘non c’è più’ va sostituita con l’altra: ‘rimane ancora, anche se in modo diverso’”. “Il dolore più grande – ha ricordato il porporato – è vedere morire le persone che si amano immensamente. A un genitore che ha perso un figlio non si può chiedere di non soffrire più, ma gli va chiesto di soffrire ‘bene’, con anima evangelica. Quel dolore è sacro. Testimonia un amore che sbaraglia la morte, perché non si arrende e si spinge in avanti, nell’attesa del ricongiungimento”. Nella luce della Pasqua, ha aggiunto, “le vittime del terremoto continuano ad abitare nei nostri pensieri, ed hanno stabile dimora nei nostri cuori. Per questo stasera li nominiamo tutti: uno ad uno. Non si tratta di ‘necrologio’, ma di un ‘appello’. Non sono ‘ex’ concittadini e confratelli, ma restano a pieno titolo parte integrante della nostra comunità ecclesiale e civile”. Per questo “i tocchi delle campane non suonano a morto, ma diffondono la voce della risurrezione”. Nel ricordo dell’arcivescovo de L’Aquila “non solo quanti sono deceduti sotto la violenza devastante del sisma”, ma anche le altre vittime, quelle del “dopo terremoto: coloro, cioè, che sono deceduti a causa di patologie provocate da traumi postumi, connessi al sisma”. Pensiero che si allarga a chi oggi vive il dramma della guerra: “Le donne e gli uomini, i giovani e bambini della nostra gente, che hanno visto morire i loro cari e hanno dovuto lasciare angosciati le loro case distrutte dal terremoto – ha rimarcato – ben capiscono il dramma dei profughi ucraini costretti dalla furia insensata e omicida della guerra ad abbandonare le loro abitazioni e a cercare rifugio in altre nazioni.
In questo dolore lacerante l’Aquila, città-martire, si sente città-sorella con Kiev, Mariupol, Kharkiv, Bucha, Irpin, Odessa, e con tutti i centri urbani o i villaggi colpiti dalla violenza sacrilega e devastante delle bombe”. Da qui l’invito “al popolo aquilano” a pregare, con Papa Francesco, per la pace e “alla mobilitazione della solidarietà e della ‘com-passione’, creando una stretta catena di accoglienza, di amicizia e di condivisione”. “Siamo fiduciosi – ha concluso il card. Petrocchi – che, dopo la bufera, tornerà a splendere il sole della riconciliazione e della fraternità: più luminoso e caldo di prima”.