“La misericordia propriamente non fa parte del diritto, come qualcosa di esterno ad esso, ma rispettando le caratteristiche proprie del diritto consente di amministrare la giustizia in modo più umano. Questo perché c’è una amministrazione umana del diritto”. Mons. Francesco Moraglia è intervenuto così ieri, al primo appuntamento di formazione per i volontari della Pastorale degli Istituti penitenziari del Patriarcato di Venezia. Il corso “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi” (8 incontri fino a giugno) è promosso e organizzato dalla Pastorale degli Istituti Penitenziari, curata da don Antonio Biancotto. All’evento ha preso parte anche la direttrice del carcere maschile e femminile di Venezia, Immacolata Mannarella, insieme al comandante delle Guardie carcerarie e all’Educatore Capo Area. Per il patriarca, chi esercita un servizio in carcere “deve guardare in modo benevolo il detenuto e saper far rete con tutti. Il volontario non deve identificare il detenuto con il suo passato e accompagnarlo a guardare invece alla dignità della sua persona e a tutte le componenti della sua umanità, per aiutarlo a compiere un cammino. In questo servizio il volontario deve saper dialogare con le altre competenze e professionalità presenti nell’istituto penitenziario, dalla direzione agli educatori, in modo da favorire la rieducazione del detenuto, nella consapevolezza che anche chi ha compiuto gravi delitti può riscattarsi. Il carcere può, e deve, essere un luogo di rinnovamento umano e spirituale delle persone”. Arrivare alla rieducazione è un cammino che presuppone, per il Patriarca, l’esercizio della misericordia: “La misericordia propriamente non fa parte del diritto, come qualcosa di esterno ad esso, ma rispettando le caratteristiche proprie del diritto consente di amministrare la giustizia in modo più umano. Questo perché c’è una amministrazione umana del diritto. Dobbiamo parlare di giustizia ‘umana’. La giustizia rende un importante servizio all’uomo e alla società”. Il penitenziario, ha affermato il patriarca, rimane la cartina al tornasole di un Paese: “Un carcere rimane sempre lo specchio per verificare se una società funziona. Lo Stato, per questo, nell’esercitare il suo compito di punire il condannato deve sempre guardare al dettato costituzionale che punta alla rieducazione (articolo 27). La giustizia deve essere realmente tale, adeguata al caso concreto, e che non sia né buonista né crudele, poiché in entrambi i casi non sarebbe vera giustizia. Non è lecito trincerarsi dietro ai problemi strutturali del nostro sistema penitenziario, lasciando cadere le difficoltà su chi opera in carcere; si tratta, invece, di un tema che deve essere affrontate politicamente. Le carenze, molte volte, non sono di chi opera in carcere, per questo anche il volontario deve essere capace di ‘fare catena’ e comunicare con altri, rispettando le regole e cooperando con tutti, a garanzia di tutti quelli che lavorano in una struttura penitenziaria”.