“La diagnosi è una delle pietre angolari nel percorso di chi è affetto da una malattia rara, ma è anche il primo grande scoglio da affrontare: mediamente arriva con 4,8 anni di ritardo, 1 paziente su 3 riceve una prima diagnosi errata con conseguenti terapie non idonee, e anche dopo questo c’è comunque una fetta di persone che non arriva a una diagnosi. La buona notizia è che le cose stanno migliorando, soprattutto grazie ai nuovi strumenti di analisi genetica e genomica, che oggi hanno costi fino a 100mila volte in meno rispetto a 20 anni fa”. Lo ha detto Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, nel suo intervento al convegno “Malattie senza nome. I fantasmi delle malattie rare” promosso oggi dal Bambino Gesù insieme all’Osservatorio per le malattie rare (Omar) in collaborazione con la Fondazione Hopen, alla vigilia della Giornata mondiale dedicata che ricorre domani. “In 10 anni – ha spiegato – l’Ospedale è riuscito a dare finalmente una diagnosi a 1.000 bambini e adolescenti. Oggi, grazie a queste indagini, siamo in grado di dare una diagnosi a circa 2 casi su 3, ora l’obiettivo è farlo in tempi sempre più brevi”. Per Andrea Bartuli (Bambino Gesù), “è un po’ come cercare di risolvere i ‘cold case’ delle malattie rare, grazie alle scienze omiche ci riusciamo in quasi il 70% dei casi”. “La malattia c’è, ma non è diagnosticata, quindi non ha un nome. Questo rende il malato e la sua famiglia invisibili”, ha osservato Federico Maspes, presidente Fondazione Hopen. “La diagnosi potrebbe non arrivare mai, intanto – la sua richiesta – ci serve un codice che ci renda riconoscibili nel sistema sanitario e ci dia accesso a dei diritti”.