“Dire nelle celebrazioni che il Dio di Gesù Cristo è il Dio degli uomini, dei deboli, dei poveri esige il coraggio della coerenza. Chiede la forza di ripetere le stesse cose fuori dal tempio, testimoni oculari del grande messaggio che lo Spirito ci dona e ci consegna: è il messaggio che ci invita a uscire allo scoperto, a uscire fuori dalle nostre prudenze e comode certezze”. Lo ha detto, ieri sera, mons. Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, aprendo il XXXI Sinodo diocesano.
“Solo quando la fede esce dalle sacrestie, a servizio dell’uomo, nel nome del Vangelo, recuperando la grazia della chiarezza, senza sfumare le finali per paura del quieto vivere, è credibile”, ha osservato il presule, sottolineando l’urgenza di “andare verso tutti”. L’arcivescovo ha ricordato “il volto di poveri, sofferenti, emarginati”. “La presenza dei poveri in mezzo a noi non è frutto del caso – ha avvertito – ma conseguenza dello strutturarsi peccaminoso di relazioni. Le nostre comunità hanno bisogno di una presa di responsabilità condivisa: i poveri ci sono e dobbiamo chiederci perché continua ad accadere. La pandemia e questa guerra assurda stanno accentuando l’inconsistenza di un sistema malato che produce morte. Non possiamo più chiudere gli occhi, non possiamo più rimandare, dobbiamo scegliere quale stile di vita preferire. La nostra fede ci chiede onestà di sguardo. Una Chiesa che si desidera povera, sinodale, in stato permanente di missione, è chiamata a compromettersi con la vita, con il Signore, con le fatiche degli uomini e delle donne di questo tempo. Il discepolo di Gesù non fugge la povertà e i poveri: li sceglie. Questa cura radicale da vivere e da scegliere è il segno più vero dell’amore di Dio in noi. Siamo chiamati ad abitare la complessità di questo tempo”.
Mons. Battaglia ha osservato: “Se accogliamo la speranza dei poveri e impegniamo la nostra vita ad ascoltarla e metterla in pratica, si rivelerà a noi e al mondo intero la giustizia di Dio. Convertire lo sguardo vuol dire riconoscere l’efficacia della vita del giusto, dei crocifissi della storia, quale lievito di cambiamento, annuncio della vita compiuta nel far vivere. Al povero spetta sempre il primo posto per giustizia. Il cammino è lungo perché si tratta di un cambiamento di prospettiva, di mentalità, di criterio”.
I segni concreti di questo rinnovamento saranno “il dialogo, il confronto, l’ascolto reciproco, l’andare incontro a tutti senza predeterminare situazioni e persone”.