“Un giorno di grazia e di festa! Un giorno di gioia e di speranza”. Così dom Roque Paloschi, arcivescovo di Porto Velho e presidente del Consiglio indigeno missionario (Cimi) del Brasile, ha commentato, nel corso di un incontro celebrativo svoltosi in modalità virtuale, i cinquant’anni dell’organismo, collegato organicamente alla Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile. Una celebrazione che, secondo l’arcivescovo, “in realtà è iniziata 50 anni fa, quando un gruppo di missionari, laici, vescovi, religiosi e religiose, intrepidi, audaci, incoraggiati dal Concilio Vaticano II e dalla Conferenza di Medellín, ma soprattutto provocati dalla realtà vivevano i popoli indigeni, hanno cominciato ad aprire nuove strade nella Chiesa, nuovi modi di essere presenti con i popoli indigeni e di essere fedeli al Vangelo”.
Dom Paloschi ha sottolineato che quella del Cimi è stata in questi decenni “un’azione caratterizzata dalla difesa della giustizia, dei diritti, della diversità culturale, dei territori e, in particolare, del ruolo dei popoli indigeni come soggetti della propria storia”. È una celebrazione che ci fa riconoscere “la forza e la saggezza dei popoli indigeni nella loro resistenza e tenacia a difendere la vita, a difendere i loro territori e i loro diversi modi di essere, le loro culture e la loro profonda spiritualità”.
La difesa dei diritti, delle culture e dei territori dei popoli indigeni è una missione assunta dalla Chiesa in Brasile, ha ricordato dom Walmor Oliveira de Azevedo, arcivescovo di Belo Horizonte e presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), il quale, citando l’esortazione “Querida Amazonia”, ha evidenziato l’importanza del territorio e della sua custodia per le popolazioni indigene. L’arcivescovo di Belo Horizonte ha evidenziato il contributo della Chiesa per mostrare alla società che i popoli indigeni sono maestri dell’ecologia integrale.