“Gesù, donaci la pace, illumina le nostre vite, non farci perdere la speranza, abbraccia il nostro dolore e quello di tante famiglie come la nostra”. Nonna Nadia ha tradotto così dall’ucraino la preghiera letta con un filo di voce dalla nipotina. Questa testimonianza di dolore, ma aperta alla speranza della Resurrezione, ha chiuso la Via Crucis che il vescovo di Prato Giovanni Nerbini ha guidato intorno all’ospedale Santo Stefano. Per il terzo anno, il giorno del Venerdì Santo, il tradizionale rito che ripercorre la Passione e la morte di Cristo è stato vissuto nel luogo simbolo dell’emergenza sanitaria. La prima edizione di questo gesto così significativo è stata fatta nel primo anno della pandemia, in pieno lockdown.
Anche quest’anno mons. Nerbini ha sentito il dovere di tornare in ospedale per dare conforto con la sua presenza. Le stazioni sono state lette e commentate da medici, infermieri, dai volontari delle associazioni che quotidianamente si impegnano per i malati e dai membri dell’associazione Figli in cielo. L’ultimo momento della Via Crucis, dedicato alla Resurrezione di Cristo, una anticipazione del giorno di Pasqua, è stato affidato a una famiglia ucraina ospitata a Prato, composta dalla nonna Nadia, dalla figlia e dalla nipotina. “Mentre guardiamo il Cristo Crocifisso dobbiamo fare due cose – ha detto il vescovo al termine del rito –, dire una serie di no: no alla guerra, no alla sopraffazione, e alcuni decisi sì: sì al dialogo, sì alla apertura alla vita”. Poi il presule ha parlato della corsa alle armi: “Chiediamo davvero che questa Pasqua non ci faccia dimenticare i drammi che stiamo vivendo e che ci trovi responsabilmente impegnati a fare i passi che ci è possibile fare affinché la grande politica prenda decisioni importanti a tutti i livelli, perché cambi il modo di trovare le soluzioni ai problemi che si sono creati con il riarmo”.
La Via Crucis è stata promossa dalla Cappellania ospedaliera guidata da don Carlo Bergamaschi e da don Giovanny Santa Colorado in accordo con la direzione del Santo Stefano. “Questo rito ha rappresentato un momento di condivisione e di sollievo per chi vive un periodo buio e pieno di incertezze”, ha detto don Bergamaschi.
Oggi, Sabato Santo, la veglia di Pasqua sarà celebrata nella cattedrale di Prato alle ore 22. La mattina di Pasqua, il vescovo celebra la prima messa del giorno nel carcere della Dogaia per i detenuti.
Il pomeriggio di Pasqua la tradizione è tutta pratese con l’ostensione del Sacro Cingolo mariano. Quello pasquale è uno dei cinque appuntamenti annuali nei quali la Chiesa di Prato rende omaggio alla reliquia custodita da otto secoli nella sua cattedrale. Intorno alle 18, mons. Nerbini mostrerà la Sacra Cintola prima all’interno del duomo poi sulla piazza, dal pulpito di Donatello ripetendo il gesto per tre volte. Oltre al giorno della Resurrezione, il Sacro Cingolo viene mostrato alla venerazione dei fedeli anche il primo maggio, il 15 agosto, l’8 settembre e a Natale.