“Con grande gioia e commozione celebro con voi la prima messa crismale del mio episcopato. Base di tutto, presupposto essenziale per ogni nostra azione è la presenza, anzi l’immanenza dello Spirito Santo nella nostra vita. Ogni nostra azione non potrà che essere il riflesso dei doni che lo stesso Spirito effonde su di noi, affinché possiamo esserne pienamente compresi. Lo sguardo del Padre attraverso l’amore dello Spirito ci consacra e ci rende abili alla celebrazione dei Misteri di Cristo, primo fra tutti la Santissima Eucaristia, dalla quale prende forma e sostanza sia il nostro essere come tutta la vita della Chiesa. Sia la celebrazione eucaristica quotidiana nutrimento, respiro e palpito del nostro stesso esistere”. Lo ha detto ieri sera il vescovo di Terni-Narni-Amelia, mons. Francesco Antonio Soddu, nella messa crismale presieduta ieri sera in cattedrale.
“Portare la bella notizia ai poveri, di qualsiasi genere di povertà si tratti, significa non tanto pronunciare belle parole molto spesso prive di consistenza, quanto piuttosto essere amici dei poveri nel bene; farli sentire, attraverso la nostra vicinanza, amati da Dio; e questo, paradossalmente, più che a parole si opera mediante l’eloquente silenzio dei fatti concreti. Fatti concreti che, nel contatto con le persone hanno, ciascuno, un nome specifico, che iniziando dalla cordialità e gentilezza dei modi con cui ci rapportiamo con tutti, specialmente con i più indifesi, si sviluppano fino a generare il tessuto e il terreno entro cui germoglia e prende forma solo il bene”, ha osservato il presule.
“In un mondo in cui, come si esprime Papa Francesco, prevale l’economia dello scarto, noi abbiamo il dovere morale – in quanto consacrati dallo Spirito – di essere accoglienti, poveri tra i poveri, annunciatori e testimoni della ricchezza della solidarietà, della condivisione, della partecipazione. Unica ricchezza, questa, capace di contenere azioni di investimento redditizio, sia per il tempo presente come anche per il futuro e infine per l’eternità”, ha aggiunto.
Essere “una sorta di chiave che apre le porte, il ‘reagente’ che ammorbidisce le sbarre di qualsiasi situazione in cui le persone si trovino ad essere imprigionate: schiave di sé stesse, del proprio egoismo, dei contesti storici, sociali e familiari. Presentare e quindi donare, mettere a disposizione la nostra vita; che sia quindi limpida, bella e santa, per leggere ed interpretare ogni questione annosa e pertanto capace di affrancare da ogni genere di oppressione”.
“Allontaniamo da noi la tentazione di scrivere, anche solo di abbozzare con la nostra condotta e scelte di vita o correnti di pensiero, altra storia che non sia quella del Vangelo rivolto ai poveri, o che sia anche semplicemente ad esso parallela. Sia piuttosto la nostra vita sempre Vangelo vivo, nel nostro oggi, nella concretezza di questo nostro tempo e mai anacronistica, fuori dal tempo e quindi fuori luogo”, ha concluso.