Giovedì Santo: mons. Pizzaballa (patriarca Gerusalemme), “l’unico potere che ha la Chiesa è la croce di Gesù, e il suo amore che la abita”

Di fronte al “disorientamento e alla stanchezza” di questi due anni di chiusure legate alla situazione pandemica, davanti al peso della “mancanza, nel nostro contesto sociale, di chiare prospettive serene, di riferimenti sicuri” e del “senso di solitudine”, “ci viene incontro la Pasqua di Gesù. Di fronte alle nostre paure, al cuore delle nostre chiusure, delle nostre porte sbarrate, Egli si fa largo non con la magia di soluzioni facili né con il giudizio sprezzante e superficiale, ma con una fiducia nel Padre più forte della paura e con un amore per i fratelli più grande delle nostre chiusure”. Lo ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, che stamattina, nella basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ha celebrato la messa del Giovedì Santo. “In questo giorno – ha affermato il patriarca – Egli viene ancora incontro a noi, nella Parola e nel sacramento, indifeso come allora, mite come allora, pronto a fare della morte un dono per trasformare la violenza in perdono. Egli non fugge la decisione di Caifa, non contesta il giudizio di Pilato, non minaccia i carnefici; e questo non per un pacifismo di maniera o per una semplice passiva non violenza, ma per affermare una reazione nuova e davvero vittoriosa: la reazione della fiducia in Dio e dell’amore per tutti”. Pizzaballa ha richiamato l’invito alla sinodalità, lanciato da Papa Francesco, che “è semplicemente l’invito a ‘essere Chiesa’ nel tempo della dispersione, per ricondurre tutti a camminare insieme”. Da qui il monito alla Chiesa di Gerusalemme: “Ritorniamo alla comunità”. “Ritorniamo e restiamo a Gerusalemme, ritorniamo e restiamo nella Chiesa – ha chiesto Pizzaballa -. Come i discepoli di Emmaus, siamo stati spinti fuori o lontano dalla comunità dalle nostre paure, dalle nostre pigrizie, dai nostri calcoli sbagliati e dalle nostre speranze deluse. Permettiamo allo Spirito, come fa con il pane e il vino, di trasformarci in Chiesa. Lasciamo che il Maestro ci serva distruggendo le nostre ostinate resistenze al perdono e alla misericordia. Il Maestro si fa nostro schiavo e ci mostra il vero significato della carità reciproca, non con le parole ma con i gesti”. Tra i gesti, il patriarca ha indicato “ascoltare gli altri prima di insegnare agli altri, vivere la sofferenza prima di fornire i nostri rimedi pronti alla sofferenza”, sperimentare “il perdono di Dio sulla nostra pelle prima di amministrare il perdono di Dio agli altri. Diventiamo comunità di fede come membri laici della Chiesa quando impariamo a collaborare alla missione d’amore di Cristo aprendo il nostro sguardo a quanto Egli compie oltre i confini delle nostre famiglie, dei nostri parenti stretti e amici, dei nostri valori etnici e culturali, delle nostre aspirazioni sociali e politiche, per quanto giuste possano sembrarci. Mentre lavava i piedi ai suoi apostoli, Gesù non ha fatto alcuna distinzione tra Giuda che lo tradì, Pietro che lo rinnegò, o Giovanni, suo discepolo prediletto. Li ha serviti tutti allo stesso modo, guardandoli con lo stesso amore con il quale dalla croce ha abbracciato il mondo. L’unico potere che ha la Chiesa è la croce di Gesù, e il suo amore che la abita”.

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