I 54mila detenuti delle carceri italiane vivono spesso in condizioni inumane e degradanti. Molti provengono da situazioni di marginalità e disagio che la reclusione non risolve, anzi aggrava. I penitenziari sono una discarica sociale: i dati dell’Osservatorio di Antigone che, anche nel 2021, ha visitato 99 carceri sono preoccupanti: il 40%delle carceri non ha acqua calda, in quindici istituti non c’è proprio riscaldamento, nel 54% mancano le docce nelle celle (previste dal regolamento penitenziario del 2000), in un terzo delle celle i detenuti hanno meno di 3 metri quadrati a testa di pavimento calpestabile. In cella ci si suicida dieci volte di più che nel mondo libero. Il 10,8% dei detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave, il 24 è tossicodipendente.
“Disastro delle carceri-Senza uscita” è la storia di copertina del nuovo numero de Lavialibera, il bimestrale di Libera e Gruppo Abele, (acquistabile online su lavialibera.it) con storie, testimonianze, commenti e numeri, sulla situazione carceri nel nostro Paese. “ Il carcere – scrive nel suo editoriale don Luigi Ciotti – che comporta una limitazione enorme della libertà fisica delle persone, dovrebbe in una società come la nostra rappresentare l’extrema ratio, la scelta residuale in materia penale. Purtroppo sappiamo bene che non è così. Storicamente, al netto degli abusi punitivi dei quali ogni epoca si è macchiata, il carcere è stato pensato per allontanare dal consesso sociale chi ha commesso un crimine e potrebbe commetterne altri. Ma se la comunità ha tuttora il diritto di proteggersi dai disonesti e dai violenti, non possiamo ignorare che al giorno d’oggi la legge e la tecnica ci mettono a disposizione tanti altri strumenti per tutelarci. Soprattutto, non possiamo dimenticare lo scopo che la Costituzione attribuisce alla pena detentiva: educare e reinserire”. Eppure si legge sul nuovo numero de lavialibera le misure alternative alla detenzione sono efficaci: nel 2018 solo lo 0,5 per cento di queste misure erano state revocate per la commissione di nuovi reati.
“Ogni toga dovrebbe fare esperienza di qualche settimana di vita in carcere, per essere più attenta nei giudizi”. In una intervista rilasciata alla direttrice Elena Ciccarello, Bernando Petralia, ex capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap), fa il bilancio amaro di due anni di attività. Rivendicando il lavoro fatto, dice: “Mi dolgo per non aver potuto fare abbastanza”.