“Questa Settimana Santa la viviamo come un periodo di passione”. A parlare è il nunzio apostolico di Kiev, mons. Visvaldas Kulbokas, che al Sir racconta come le comunità cattoliche e la nunziatura si stanno preparando ad accogliere questa sera l’inviato speciale di Papa Francesco, il card. Konrad Krajewski, per la Settimana Santa. Il nunzio elenca alcuni esempi e il pensiero va subito a Borodyanka, cittadina che dista da Kiev una cinquantina di chilometri. “Mi dicono che è un’apocalisse. E mi dicono che non c’erano obiettivi militari, quindi hanno colpito condomini e case e hanno distrutto tutto. E a dieci giorni di distanza non si riesce tuttora a estrarre i corpi dalle macerie perché è tutto minato. Ci sono mine dappertutto, nelle case, nelle lavastoviglie, nei bagagliai delle macchine. Dove metti i piedi, esplodi. Ci vuole una bonifica”. E se non si muore sotto le bombe, si muore per fame. “Due settimane fa – racconta il nunzio – un collaboratore della nunziatura mi diceva di aver visto a Kiev una signora anziana raccogliere dei pezzettini di pane, perché evidentemente non aveva nulla da mangiare. In questi giorni la vita a Kiev sta lentamente recuperando, sebbene non si possa ancora parlare di un ritorno alla normalità”. Il pensiero va poi al seminario di Vorzel, dove dalle testimonianze del rettore e del vescovo, è stato tutto distrutto. “Anche la statua della Vergine Maria è stata gettata a terra. Questa è la guerra. Arrivano i militari e rubano e distruggono tutto”. A Bucha, il direttore della filiale dell’Istituto cardiologico di Kiev ha raccontato al nunzio che tutta l’apparecchiatura è stata “deliberatamente” distrutta dai militari. “Sono entrati ufficio per ufficio ed hanno distrutto computer e macchinari. Questo è il volto della guerra: non si tratta soltanto di bombe, di vittime militari e civili, ma di distruzione totale e deliberata”. Vorzel, Irpen e Bucha sono cittadine che distano dalla nunziatura 20/25 chilometri e “per più di un mese sentivamo da qui i colpi di artiglieria e i combattimenti”. In quei momenti – confida il nunzio – pensavo che anche se un colpo su mille avesse ucciso o ferito una solo persona, sarebbe stato troppo”. Mons. Kulbokas parla infine dei “bimbi sulle cui schiene i genitori hanno scritto il nome e cognome, la data di nascita e i numeri di contatto in modo che in caso di morte dei genitori, almeno si sa chi è il bimbo e dove cercare i familiari”.