Dal vino dealcolato a quello zuccherato, dal vino in polvere a quello alla frutta ma anche il finto rosato o il vino annacquato. Sono solo alcune delle ultime clamorose pratiche enologiche che si stanno diffondendo nel mondo, al centro della prima mostra “Non chiamatelo vino”, organizzata a casa Coldiretti, favorite dall’estensione della produzione a territori non sempre vocati e senza una radicata cultura enologica che con la globalizzazione degli scambi colpisce direttamente anche i consumatori di Paesi con una storia del vino millenaria come l’Italia.
“Un esempio è la scelta della Ue di autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol anche nei vini a denominazione di origine. In questo modo viene permesso ancora di chiamare vino un prodotto – sottolinea Coldiretti – in cui sono state del tutto compromesse le caratteristiche di naturalità per effetto di un trattamento invasivo che interviene nel secolare processo di trasformazione dell’uva in mosto e quindi in vino”. “Si tratta di un precedente pericoloso che apre la strada all’introduzione di derive che mettono fortemente a rischio l’identità del vino italiano, che è la principale voce dell’export agroalimentare nazionale”, afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, sottolineando che “è in atto una demonizzazione indiscriminata, pilotata da alcune multinazionali, che punta ad affermare un nuovo modello alimentare e culturale che danneggia il settore e mette in discussione storia, cultura e valori fortemente radicati nel cibo e nei vini made in Italy, la dieta mediterranea stessa, patrimonio Unesco, e il consumo moderato e responsabile che contraddistingue il vino in Italia”. Tra le pratiche discutibili anche lo zuccheraggio del vino e l’aggiunta di acqua al mosto.
“Occorre uno stop alla contraffazione internazionale che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini e denominazioni che si richiamano all’Italia per vini taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale”, conclude Prandini.