“Basta guerra, basta anche alle guerre tra di noi. Basta odio, basta vendette, basta divisioni. Lasciamo cadere le tante spade che usiamo solo per fare del male. Come Gesù risponde a coloro che chiedevano ai discepoli di tacere, vorremmo anche noi che le pietre potessero gridare in questo momento. Che potessero gridare: pace, pace, pace. In Ucraina, in Russia, nel mondo intero”. Lo ha detto il vescovo di Lamezia Terme, mons. Giuseppe Schillaci, che ha presieduto ieri la concelebrazione della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, preceduta dalla benedizione dei rami di ulivo sul sagrato della Chiesa di S. Caterina. Dopo due anni, la celebrazione che apre la Settimana Santa è stata preceduta dalla processione che rievoca l’ingresso di Gesù a Gerusalemme.
“Il Signore entra a Gerusalemme, la città della pace – ha proseguito mons. Schillaci –. Entra mite e umile, cavalcando un puledro. Egli è il Principe della pace. Per noi cristiani la pace non è un’astrazione, ma una Persona: Gesù Cristo. Oggi Gesù è deriso, picchiato, insultato, in ogni bambino, donna e uomo che viene violentato e ucciso in ogni parte del mondo. Cristo continua a morire in loro. Come comunità di discepoli, come Chiesa, come comunità lametina, siamo chiamati ad incarnare lo stesso metodo, lo stesso stile di Gesù: il servizio e il dono della vita. Seguire Gesù significa servire, donare la vita. Non lasciamo che prevalgano logiche che nulla hanno a che fare con il Vangelo: le logiche del potere, della violenza, della sopraffazione. Il Vangelo non è astrazione, non è teoria. Gesù dice ai discepoli e a noi: ‘Fate così’. Seguiamo Gesù che va a Gerusalemme in maniera decisa, per compiere la volontà del Padre. Seguiamo il Signore Gesù anche nei momenti di debolezza e di turbamento. L’invito ai discepoli nell’orto degli ulivi è lo stesso invito rivolto anche a noi in questo momento: pregate per non entrare in tentazione. Questo è il nostro compito come discepoli, come comunità cristiana, come Chiesa: pregare. Rispondiamo come ha risposto Gesù: non con il rifiuto e la violenza, ma chiamando Dio ‘Padre’ e invocando il perdono”.
“In questo cammino sinodale che come Chiesa diocesana stiamo vivendo – ha concluso il presule – cresciamo come discepoli, come comunità che segue il Signore, che incarna lo stile di Gesù: come ho fatto io, così fate anche voi”.