“A vent’anni dall’elezione di Vladimir Putin a presidente della Russia, il Paese si trova a un bivio, in un momento critico a causa dell’invasione dell’Ucraina. La situazione precedente al conflitto era sostanzialmente positiva” ma oggi “il rischio molto grande è che la nazione si stia preparando ad anni di stagnazione economica”. Non ha dubbi Vladimir Pachkov, corrispondente dalla Federazione russa per La Civiltà Cattolica, che nel quaderno 4121 della rivista in uscita sabato 5 marzo delinea il quadro della società e del Paese. Il “putinismo”, spiega, “concentra la ricchezza nelle mani di poche persone. Invece di favorire l’ascesa di una classe media e di una imprenditorialità autonoma e al passo con i tempi”, si promuove chi “al servizio dello Stato e da esso dipende”, tanto che “funzionari competenti” non sembrano “necessari all’economia basata sullo sfruttamento petrolifero. E ci sono casi in cui amministratori locali vengono licenziati” se “alle elezioni non votano per il presidente o per il partito di governo”.
“Le idee e le prospettive per una crescita economica di lungo periodo – l’analisi di Pachkov – sono state sacrificate in favore della ricerca ossessiva di stabilità politica e geopolitica”, mentre aumentano disuguaglianza e povertà, inasprite ulteriormente dalla pandemia.
Secondo il corrispondente servirebbero innovazione e investimenti privati, soprattutto esteri, ma prima “andrebbe risolto il conflitto politico con l’Occidente, che invece il conflitto con l’Ucraina ha radicalizzato. La dura realtà è che la Russia è un Paese economicamente debole e non avrebbe potuto permettersi una politica conflittuale”. La popolazione “è stanca della propaganda roboante ‘Dobbiamo difenderci dai nemici che circondano il Paese!’ e non la prende più sul serio”: il governo “sta perdendo non soltanto il contatto con la società, ma anche l’influenza ideologica su di essa. Ne sono prova anche le manifestazioni per la pace in corso in Russia”.
“Secondo l’opinione pubblica – si legge ancora nell’articolo -, l’attuale crisi nei rapporti con l’Occidente è ciò che può porre fine al ‘sistema Putin'”. Non solo la guerra in sé, ma le conseguenze economiche della guerra – soprattutto se di lunga durata – “potranno portare a un malcontento che molto probabilmente si trasformerà in una protesta dai connotati fortemente politici” e anche se questo non porterà a cambiamenti politici, “il mito del ‘modello Putin’ ne uscirà quasi certamente ridimensionato”. Oggi, conclude l’analista, il rischio per la Russia “di rimanere isolata e di vivere una drammatica stagnazione economica è molto reale”.