Città completamente rase al suolo, leader religiosi messi sulla lista delle persone da uccidere, infiltrati nella cattedrale di Kiev pronti ad attaccare, fosse comuni, deportazioni forzate, sciacallaggi per trasportare le persone fuori dalle città con prezzi che arrivano anche a mille dollari al passaggio. È il “racconto” drammatico, a tratti apocalittico, quello che questo pomeriggio l’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, ha offerto intervenendo, spesso con voce rotta dalle lacrime, in video conferenza ad un incontro organizzato dal Pontificio Istituto Orientale. È la prima volta dallo scoppio del conflitto in Ucraina, che l’arcivescovo maggiore prende la parola in un evento pubblico. “Nessuno è preparato alla guerra, tranne i criminali che la preparano e la mettono in atto”. “È stato uno choc”, ha detto l’arcivescovo. “Ma era evidente che si trattava di una invasione ben pianificata”. Il suo nome come quello di altri leader religiosi era stato messo sulla lista delle persone da “eliminare”. “Abbiamo poi scoperto che nella comunità parrocchiale della cattedrale di Kiev si erano infiltrate delle persone che costituivano un gruppo di assalto pronto ad attaccare”. Si erano infiltrati nel coro e nei gruppi giovanili. “Avevano nomi, cognomi, indirizzi”. Anche la cattedrale era stata “marcata” da ricetrasmettitori per essere attaccata dai missili”. “Ma io oggi vi parlo da Kiev ed è un miracolo”, ha affermato Shevchuk. “Si vede che la forza del popolo ucraino si sta rivelando un miracolo che sorprende il mondo”. Oggi, l’arcivescovo ha incontrato il sindaco di Kiev. In città è rimasto un milione di persone. Significa che i due terzi degli abitanti è andato via. “Più del pane – ha detto il sindaco a S. B. Shevchuk – abbiamo bisogno di parole di conforto e di speranza che solo che Chiesa ci può dare”.