“In questi momenti in cui il dolore diviene insopportabile e quanto mai irrazionale, le parole non servono ma l’unica cosa che mi sento di offrirvi è il mio sguardo verso il Crocifisso. Solo lui è capace di raccontarci in termini credibili al contempo la morte e la speranza, il dolore e la sua redenzione”. Sono alcune riflessioni contenute nel messaggio che l’arcivescovo della diocesi di Taranto, mons. Filippo Santoro, ha voluto consegnare alla famiglia di Massimo De Vita, operaio di 43 anni, morto martedì scorso al quarto sporgente del porto di Taranto, schiacciato da un telaio di acciaio, all’inizio del suo turno di lavoro. L’arcivescovo non ha potuto presiedere la messa e ha chiesto al parroco della chiesa dedicata alla Madonna di Fatima, don Pasquale Laporta, di leggere pubblicamente e poi consegnare lui stesso il messaggio alla moglie della vittima. Massimo era sposato con Giusy, venditrice in un grande magazzino della provincia ionica e aveva due figli di 11 e 7 anni. I genitori dell’operaio erano presenti alle esequie, insieme al fratello, alla cognata, ai nipoti, a tantissimi colleghi del giovane operaio e all’intera comunità parrocchiale, di cui la famiglia dell’uomo è parte attiva e integrante. “Ho sentito tante testimonianze su Massimo, era un bravo ragazzo, sapeva amare, era bravo, e questo ci serve. Questo ci dice che lui è nelle mani di Dio. In questi momenti non ci sono parole, ci può essere soltanto vicinanza”, ha detto don Laporta durante l’omelia. La grande chiesa era gremita, anche nell’ampio parcheggio esterno, dove bambini e ragazzi, amici di scuola e compagni di sport dei figli dell’uomo, hanno voluto lanciare palloncini bianchi per salutarlo.