“Da quando è scoppiata la guerra non usiamo più i piani superiori della Nunziatura, che si trova in un quartiere centrale, né le stanze che hanno le finestre sull’esterno, perché sono gli ambienti più a rischio in caso di attacco. Dormiamo e celebriamo la Messa al pianterreno”. Mons. Visvaldas Kulbokas è arrivato a Kiev come nunzio apostolico il 7 settembre scorso e lì è rimasto. Parla con “Famiglia Cristiana” in un’intervista che il settimanale pubblica nel numero da domani in edicola. “In alcuni momenti”, dice, “quando sentiamo esplosioni vicine a noi e scattano le sirene, ci rifugiamo nei sotterranei. Tutti i giorni dobbiamo fare i conti con la paura: i missili che ci passano sopra, gli allarmi. La gente che è rimasta si è abituata, anche se è sempre più angosciata”. “Ho sentito il vescovo ausiliare cattolico di Kharkiv, nella cui diocesi ricade Mariupol”, confida mons. Kulbokas, “e mi diceva che anche circa le chiese e le cappelle è stato tutto distrutto. O rubato. La gente di Mariupol non ha più contatti con i propri familiari e non sanno se sono vivi oppure no. Le immagini della gente che soffre sono un’angoscia, ma quando vedo persone salvate scoppio in un pianto liberatorio”. “La Santa Sede – conclude il nunzio a Kiev – ha chiesto di istituire corridoi umanitari sin dall’inizio ed è già intervenuta per alcune questioni particolari come trasmettere alla Russia alcune richieste specifiche riguardanti soprattutto i bambini e la protezione degli orfanotrofi, per proteggerli e, se possibile, farli evacuare. In questi casi ci si serve di canali diplomatici. È stata prestata attenzione alle nostre richieste e già per questo io sono molto grato”.