“Siamo qui per implorare da Dio il dono della pace in Ucraina e per chiedergli di aiutare ogni uomo e donna di buona volontà ad essere artigiano di pace”. Così il cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, ha cominciato l’omelia della messa celebrata nella basilica di San Pietro per la pace in Ucraina, alla presenza del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, compreso l’ambasciatore russo e quello ucraino. “Dio è Padre e ha su tutti progetti di pace e non di sventura”, ha ricordato il cardinale citando poi le parole pronunciate da Papa Francesco durante l’Angelus del 6 marzo scorso: “In Ucraina scorrono fiumi di sangue e di lacrime. Non si tratta solo di un’operazione militare, ma di una guerra che semina morte, distruzione e miseria”. “Se siamo qui a pregare per la pace è perché siamo convinti che la preghiera non è mai inutile, che la preghiera può incidere anche sulle situazioni più umanamente disperate, che soprattutto può cambiare cuori e menti”, ha proseguito Parolin, secondo il quale “si tratta dello scontro tra due diverse logiche, due diverse glorie: la gloria di Dio, che passa attraverso la croce, e la gloria umana, che è ricerca del successo mondano e di potere. Su questo duplice concetto di gloria si gioca la gloria della nostra esistenza e si gioca la storia del mondo intero. L’una è la gloria che nonostante le apparenze contrarie porta alla morte, al vuoto, al nulla, e l’altra è la gloria che sembra sconfitta e perdente ma che conduce alla vita e alla resurrezione”. La grandezza di Dio, ha ricordato il cardinale, “è essenzialmente servizio”: “Non pensate che se mettessimo davvero in pratica l’esempio di Gesù tutti i conflitti della terra a poco a poco scomparirebbero? Non pensate che se dessimo un po’ più di ascolto all’invito di nostro Signore tacerebbero le armi, anzi non si dovrebbero nemmeno produrre e costruire?”. Nella logica di Gesù, il monito di Parolin, “invece di combatterci a vicenda, ci si serve e ci si è utili a vicenda, in modo che uno fa crescere altro”. Ogni guerra, ha spiegato il cardinale, “trova la sua radice in quel profondo squilibrio radicato nel cuore dell’uomo, di cui parla il Concilio nella costituzione pastorale Gaudium et Spes. Il problema, quindi, non è solo di carattere politico o economico, ma fondamentalmente spirituale. Sotto la vernice dei disordini globali – diceva un autore – ci sono questioni fondamentalmente spirituali, che possono essere colte solo da una lettura teologicamente più completa della realtà e da un’analisi più profonda del cuore umano. Il credente con la sua parola e la vita testimonia che la gloria di Dio non è opprimere, ma esattamente il contrario. Ed è quella gloria che riempie il mondo di bellezza e bontà, che dà vita e costruisce la pace”. Alla conclusione della sua omelia, Parolin ha citato ciò che scrisse San Giovanni XXIII nella Pacem in terris, due mesi prima di morire, elencando le quattro condizioni fondamentali per costruire la pace nella storia: “Il rispetto della verità, la tensione verso la giustizia, l’amore fraterno che rifugge dai mezzi violenti, la libertà che esclude ogni soffocante imposizione”. 40 anni dopo, San Giovanni Paolo II scriveva: “Il rispetto della verità sarà fondamento della pace se ogni individuo con onestà prenderà coscienza, oltre che dei propri diritti, anche dei propri doveri verso gli altri. La libertà alimenterà la pace e la farà fruttificare se nella ricerca dei mezzi per perseguirla gli individui seguiranno la ragione e si assumeranno con coraggio le responsabilità delle proprie azioni”. “In questo luogo e in questa solenne basilica – la supplica finale – ci rivolgiamo a Dio con cuore straziato per quanto accade in Ucraina, ripetendo con Papa Francesco: tacciano le armi, Dio sta con gli operatori pace, non con chi usa la violenza. Fa che tacciano le armi e risuoni la dolce brezza della pace. Abbi pietà di questa umanità sorda e aiutala a ritrovare coraggio del perdono”.