“La giustizia riparativa è una risposta più adeguata a quel bisogno di giustizia che noi tutti sentiamo di fronte a fatti piccoli o grandi che segnano la vita delle persone e dei popoli”. E che però ci pone di fronte a un “nuovo percorso, tutto da scoprire”, poiché implica un “totale cambio di paradigma”, “complementare”, “trasversale” all’esecuzione della pena. Sono alcuni passaggi del discorso della ministra della Giustizia Marta Cartabia, intervenuta oggi a conclusione del convegno nazionale “Giustizia riparativa e formazione della magistratura”, nel corso del quale sono stati presentati i risultati finali del progetto di ricerca “Re-Justice. Sustainable training in a challenging field”, avviato nel 2019 in quattro Paesi – Belgio, Italia, Grecia, Spagna – e finanziato dal Programma Giustizia dell’Unione europea.
“Siamo abituati a una giustizia della terzietà, equidistante dalle parti”, ha continuato la ministra della Giustizia. “La sfida culturale più impressionante della giustizia riparativa è l’invito all’avvicinamento, al sedersi a un tavolo comune”. Per la ministra della Giustizia, “mettersi nei panni, immedesimarsi nel ruolo dell’uno e dell’altro è uno strumento decisivo”. Serve, però, anche uno “sviluppo culturale intorno a questo capitolo nuovo, ma al tempo stesso antico, della giustizia, per soddisfare questo bisogno di ricomporre il tessuto dei rapporti lacerati dal reato”.
Del resto, secondo il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli, “la giustizia riparativa evoca tre archetipi – giustizia, vendetta, perdono – che attraversano la storia dell’umanità e sono all’origine della nostra cultura”. Uno strumento innovativo che, nel mettere a confronto vittima e reo, “non è un atto di clemenza, di perdonismo ma richiede tanto la capacità di gestire dinamiche complesse quanto la convergenza di sensibilità molto elevate”, ha detto il rettore Franco Anelli.
È indicativo, ha dichiarato la ministra della Giustizia Marta Cartabia, che finora “tutte le proposte presentate in Parlamento in tema di giustizia riparativa non abbiano incontrato resistenze e suscitato reazioni”. Ciò non vuol dire che “non accadranno momenti di tensione” ma significa che il “dibattito è scevro da pregiudizi” ed è quindi il “momento giusto per intervenire anche con percorsi che partano dalla formazione. Solo così si può sviluppare questo nuovo pilastro della giustizia”. Per questo “facciamo conoscere correttamente la giustizia riparativa e accompagniamola con un lavoro educativo, insegnando sin dalla scuola materna come gestire i conflitti”. Ma anche attraverso “le università, come sta facendo la Cattolica” con insegnamenti dedicati alla materia. “Questo è l’orizzonte dove si inserisce il capitolo nuovo della giustizia riparativa”. Si tratta di un “lavoro che comporta un investimento culturale a lungo termine ma credo che sia il più promettente, innovativo e adeguato per far fronte a quell’esigenza inestinguibile di giustizia” che da sempre pervade l’umanità.