La Conferenza episcopale peruviana condanna con forza le dichiarazioni di Diana Miloslavich, ministra delle Donne e delle Popolazioni vulnerabili, che ha chiesto la depenalizzazione dell’aborto, ameno in caso di gravidanza causata da stupro. La ministra, in ogni caso, si è detta favorevole a una depenalizzazione più generalizzata, così come è avvenuto in Argentina e Colombia. I Vescovi, dal canto loro, riaffermano la scelta di “proclamare la difesa della vita, di ogni essere umano, dal momento del concepimento fino alla morte naturale”.
Al tempo stesso, la Chiesa peruviana si dice solidale con le donne vittime del reato di stupro e violenza sessuale, e afferma di aver saputo accogliere, curare e aiutare tante donne che, dopo aver sofferto per l’abuso, continuano a portare la sofferenza e l’impotenza di vedere che la giustizia non ha punito i loro aggressori. Prima di porre fine alla vita del concepito, dunque, le autorità “applichino leggi e processi affinché i colpevoli di questi atti paghino per i loro crimini”.
Prosegue la nota: “Coloro che sono inclini a sacrificare la vita del concepito per proteggere la vita della madre, anche nei casi sfortunati di stupro, partono dal presupposto che la vita della madre ha un valore maggiore di quella del figlio, il che è arbitrario e falso, ed espongono le madri alle conseguenze della partecipazione all’omicidio dei propri figli”.
L’episcopato ricorda che “tutti gli esseri umani hanno la stessa dignità e lo stesso valore”. Inoltre, un male come lo stupro “non può essere combattuto con un altro male”, cioè con l’aborto. Per la Chiesa “il concepito è una persona sacra, ed. riconosciuto che abbia un’anima dal momento del suo concepimento. Una vita biologicamente diversa dalla vita della madre e che, per di più, è irripetibile e unica”.