“Investire in una rinnovata attenzione alle condizioni sociali ed economiche” in cui operano tutti i professionisti della salute e rivedere la programmazione “del numero di coloro che possono accedere anche nei percorsi formativi di ingresso”. Lo chiede don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della salute, nella “Lettera ai curanti” diffusa oggi in vista della XXX Giornata mondiale del malato. Il Paese, afferma, “ha bisogno di più professionisti della salute che vedano riconosciuto il loro ruolo e siano messi nelle condizioni di operare al meglio, per garantire una stabile sostenibilità del sistema universalistico di cura”. In questo scenario il sacerdote evidenzia che “un primo segnale di speranza viene dai giovani, che scelgono le professioni sanitarie, nuovamente chiamati a coniugare scienza e fede”. Per sostenerne la crescita umana e professionale “sarà opportuno integrare nei percorsi formativi quelle dimensioni – oggi scarsamente presenti – etiche, umane e relazionali”. “Una delle legittime attese del mondo dei sanitari curanti – prosegue – è nel miglioramento delle condizioni globali in cui svolgere il proprio ruolo professionale”.
“Oltre la dimensione fisica e psichica”, ogni persona “è chiamata a prendersi cura della propria anima. Nei corridoi degli ospedali come nel domicilio del malato la presenza testimoniante dei cappellani e degli assistenti spirituali assicura il necessario completamento della presa in carico di tutti i bisogni della persona sofferente, comprendendo la dimensione spirituale”. Anche a loro, considerati “curanti”, si rivolge il direttore dell’Ufficio Cei ricordando che ogni battezzato “è portatore del dono dello Spirito Santo, di una grazia particolare che accoglie, cura, accompagna con la materna tenerezza della Chiesa”. Infine il valore della speranza che trasforma lo sguardo: “Non si vede più la frammentazione della persona del paziente, talvolta ridotto a codice sanitario, non si vede più soltanto l’organo malato”, ma “la persona come una totalità unificata. Quando si incontrano due persone, il curante e il curato, nasce la vera presa in carico. Il paradosso della cura – conclude Angelelli – è che il paziente diventa strumento di realizzazione non solo professionale, ma di umanità e di grazia del curante”.