“Il nostro territorio, già fortemente penalizzato per la chiusura di altri indotti lavorativi negli anni passati, proprio ora che si sta venendo fuori a fatica dalla pandemia, non può ricevere un’ulteriore ferita con il fermo dell’attività produttiva presso lo stabilimento di Ferrandina. Mi sembra inverosimile e preoccupante che la decisione sia giustificata con ‘l’impossibilità di rifornire lo stabilimento di Ferrandina di materia prima, dovuta al ritardo nelle consegne dei fornitori e all’inevitabile ritardo nei trasporti verso Ferrandina, oltre che alla carenza di operatori degli impianti e del trasporto dovuta alla situazione pandemica’. L’avrei potuto capire durante il periodo del lockdown ma non nel momento in cui tutto è ripartito”. Lo ha scritto mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina, nella lettera che ha inviato al dirigente della Happy srl in merito all’annunciata chiusura dello stabilimento della Coopbox di Ferrandina (Mt).
“L’imminente chiusura dello stabilimento lucano – osserva il presule – comporta il conseguente licenziamento di 40 lavoratori. Mi permetta di sottolineare che la Coopbox di Ferrandina è stata ceduta al vostro Gruppo Happy con sede a Cremona e che dopo solo tre mesi sia stata presa una decisione così grave e deleteria per la dignità di 40 famiglie e di un territorio già fortemente mortificato”. “Mi chiedo: cosa viene prima il profitto o il bene comune? Le strategie industriali e di mercato o salvaguardare la dignità delle persone?”, prosegue l’arcivescovo ricordando che “la Chiesa insegna che c’è una duplice funzione dell’impresa: da una parte produrre la ricchezza, dall’altra di distribuirla secondo principi di giustizia”. “Purtroppo non sempre è così”, ammonisce mons. Caiazzo, secondo cui “la migliore scuola italiana di economia aziendale afferma che la crescita della ricchezza non si ha difendendola, ma diffondendola in tutto il sistema economico e sociale per la costruzione del bene comune”. “Mi auguro che ogni vostra decisione sia rivista e ripensata affinché l’azienda di Ferrandina non venga chiusa – conclude l’arcivescovo – ma rilanciata, se ritenete opportuno modernizzandola e riconvertendola, per continuare la produzione, salvaguardare il posto di lavoro e offrendo ulteriori opportunità”.