Cinque giornalisti uccisi in queste prime settimane dell’anno, la metà di quelli uccisi durante tutto il 2021; 150 dal 2000 (secondo l’ong Artículo 19), 30 durante il mandato dell’attuale presidente Andrés Manuel López Obrador. Sono questi i numeri che sempre più fanno del Messico il Paese più pericoloso al mondo per i giornalisti. L’ultimo omicidio è accaduto giovedì nel porto di Salina Cruz, nello stato di Oaxaca, nel sud del Messico: il trentanovenne Heber López Vásquez, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco di fronte al figlio. Il giornalista scriveva di megaprogetti, corruzione, questioni politiche ed economiche attraverso un sito da lui fondato, “Noticias Web”.
L’Ufficio in Messico dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani si è unito all’ondata di condanne per l’omicidio di Heber López Vásquez e ha lanciato un appello al governo “per promuovere azioni preventive a tutela di chi pratica giornalismo nel nostro Paese”. È stato anche chiesto di svolgere l’indagine con i più alti standard, percorrendo tutte le ipotesi, a partire dal legame tra quanto accaduto e l’attività professionale del giornalista. “L’omicidio di Heber López – prosegue l’Ufficio Onu – mette in luce la vulnerabilità di chi svolge attività giornalistica lontano dai più grandi centri urbani. È essenziale che le autorità e la società sostengano l’attività giornalistica essenziale che consente a tutte le persone di avere accesso a un’informazione plurale”. Purtroppo, però anche nel fine settimana il presidente López Obrador ha invece proseguito la sua personale campagna contro i giornalisti a lui sgraditi, accusati di essere “mercenari”. In particolare, suscitando forti polemiche, ha attaccato frontalmente – rivelandone il salario pubblicamente – il giornalista Carlos Loret de Mola, che aveva denunciato un presunto conflitto di interessi da parte di un figlio del presidente.