La prima campana chiamata “Voce dei non nati”, tra quelle benedette da Papa Francesco lo scorso 27 ottobre, è giunta in Ecuador, e in particolare a Guayaquil. Ad accoglierla, sabato scorso, l’arcivescovo, mons. Luis Gerardo Cabrera, presidente della Conferenza episcopale dell’Ecuador, che ha presieduto la celebrazione eucaristica, concelebrata tra gli altri da mons. Giovanni Battista Piccioli, vescovo eletto di Daule e finora vescovo ausiliare di Guayaquil, nominato “custode della campana”. Lo scorso ottobre Papa Francesco auspicava: il suono di queste campane “annunci al mondo il ‘Vangelo della vita’, desti le coscienze degli uomini e il ricordo dei non nati”.
Mons. Cabrera, nel corso dell’omelia, ha affermato: “L’annuncio del Vangelo della vita invita a riconoscerne e valorizzarne la bontà, la grandezza e la bellezza in ogni essere umano”. La presenza della campana ha anche l’obiettivo di “risvegliare la coscienza”, che in alcune situazioni “può essere addormentata per mancanza di formazione o per qualche interesse sociale, politico o economico. Nella storia, infatti, ci sono stati momenti in cui non eravamo consapevoli della gravità di molti reati, come la schiavitù, gli abusi sui minori, la tratta di esseri umani, la violenza sulle donne, il furto allo Stato e, ora, l’aborto”.
L’arcivescovo, facendo riferimento al dibattito in corso da tempo in Ecuador e tornato d’attualità nelle scorse settimane, ha sottolineato che “dobbiamo risvegliare anche la coscienza giuridica, affinché metta la legge al servizio della vita fin dal concepimento, come sancito dall’articolo 45 della Costituzione. È assurdo discutere fino a quale settimana è lecito abortire, sapendo che, in qualsiasi fase della gravidanza in cui viene praticato, un essere umano muore”. L’arcivescovo ha anche avvertito che “la più grande discriminazione è legalizzare la morte di coloro che sono stati concepiti in circostanze difficili, con l’obiettivo di risolvere altri reati”. E ha aggiunto che “un essere umano che muore in un aborto volontario è anche vittima della nostra indifferenza, della nostra complicità o della nostra codardia, personale o sociale”.