“Il necessario consolidamento della pace all’indomani di un conflitto armato” è al centro di una “riflessione” che la Conferenza europea delle commissioni “Justitia et Pax” pubblica alla vigilia della giornata internazionale dei diritti umani (10 dicembre). La riflessione ruota attorno alla necessità che “la comunità internazionale sviluppi uno ‘ius post bellum’ vincolante ai sensi del diritto internazionale”, vale a dire una giustizia che dopo la guerra possa sanare le ferite del conflitto. Se il concetto non è ancora esplicitato nel diritto internazionale, ci sono riferimenti a cui attingere, tra cui la dottrina sociale cattolica. Il primo elemento di questo ius post-bellum è quello del fare verità, una volta che le armi si saranno fermate, cioè “fare luce sulle tante e molteplici sofferenze del popolo”, le violazioni dei diritti, i crimini di guerra, l’ombra del genocidio che pesa su questa guerra. Il secondo passo è “fare giustizia”: non basterà la Corte criminale internazionale, ma, come proposto dal Parlamento europeo, servirà una “corte speciale internazionale con il supporto delle Nazioni Unite per indagare e punire” i colpevoli dei crimini. Perché ci sia giustizia, inoltre “la ricostruzione dovrà essere sostenuta non dalle vittime del conflitto armato, ma dai perpetratori”: servirà ancorare questo principio (e le relative procedure) nel diritto internazionale. Il documento approva la proposta della presidente della Commissione europea di “confiscare i beni russi congelati per le sanzioni dell’Ue per utilizzarli per finanziare la costosa ricostruzione di Ucraina”. Si tratterà, infine, di disegnare “un modello di sicurezza europeo”, di avviare “un serio dibattito sul disarmo”, in modo che lo “ius post bellum offra al nostro mondo la speranza di uscire da un ordine prettamente postbellico ad un vero e proprio ordine di pace”.