“Con il passare degli anni trovo sempre più insopportabile il malumore. Trovo irragionevole il lamento. Trovo irrespirabile l’aria inquinata di frenesia e di aggressività, di suscettibilità e risentimento”. Si è aperto con questa “confidenza personale” il “Discorso alla città” che l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha rivolto durante i Vespri alla vigilia della festa per il patrono sant’Ambrogio.
“Il linguaggio di Milano e di questa nostra terra – ha osservato l’arcivescovo – è la fierezza di poter affrontare le sfide, è la generosità nell’accogliere e nel condividere, è la saggezza pensosa che di fronte alle domande cerca le risposte, è la franchezza nell’approvare e nel dissentire, è la compassione che non si accontenta di elemosine ma crea soluzioni, stimola a darsi da fare, inventa e mantiene istituzioni per farsi carico dei più fragili”.
Nella sua riflessione, mons. Delpini ha voluto tessere “l’elogio dell’inquietudine” e “condividere l’aspetto promettente di un realismo che custodisce la speranza e che crede nella democrazia e nella vocazione della politica”. C’è un’inquietudine, ha spiegato, che “bussa alle porte della paura”. “La paura – ha notato l’arcivescovo – serpeggia nella città e nella nostra terra: è la paura di difficoltà reali che si devono affrontare e non si sa come; è la paura indotta dalle notizie organizzate per deprimere, per guadagnare consenso verso scelte d’emergenza, senza una visione lungimirante; è la paura dell’ignoto; è la paura del futuro”. Quella paura che “induce a chiudersi in sé stessi, a costruire mura di protezione per arginare pericoli e nemici, ad accumulare e ad affannarsi per mettere al sicuro quello di cui potremmo aver bisogno, ‘non si sa mai’”. “Alle porte della paura bussa l’inquietudine con la sua provocazione: e gli altri?”, la domanda rilanciata da Delpini, anche parlando della paura che bussa “alle porte della città”, a quelle “dell’organizzazione del lavoro”, “ai palazzi del potere”. “Pensieri, decisioni, interventi”, l’auspicio dell’arcivescovo, “siano attenti alla complessità e là dove sembra produttivo e popolare essere sbrigativi e semplicisti, istintivi e presuntuosi, l’inquietudine suggerisca saggezza e disponibilità al confronto, studio approfondito e concertazione ampia, per quanto possibile”.