“La massima protezione contro l’infezione da Sars-CoV-2 e la malattia Covid-19 severa, nella nostra popolazione, si osserva in presenza di una immunità ‘ibrida’ (ovvero dovuta all’effetto combinato della vaccinazione e della pregressa infezione). In ogni caso, a parità di fascia di età e di pregressa infezione, la vaccinazione riduce ulteriormente il rischio di malattia Covid-19 severa”. La conferma viene da un rapporto appena pubblicato dall’Istituto superiore di sanità (Iss), in cui si calcola il rischio di infezione e di malattia severa tenendo appunto conto di fattori come le vaccinazioni e diagnosi precedenti e il tempo trascorso dall’infezione o dall’ultima dose di vaccino.
Nell’analisi sono stati utilizzati i dati della sorveglianza integrata Covid dell’Iss, dell’anagrafe vaccinale e della popolazione Istat relativi a ottobre 2022, un periodo in cui era predominante la variante Omicron BA.5, che sono stati elaborati attraverso un modello statistico.
“Il rischio complessivo di infezione e di malattia severa è influenzato sia dallo stato vaccinale che da infezioni pregresse (documentate attraverso una diagnosi). In particolare, il rischio di malattia severa è 80 volte maggiore in chi non è vaccinato e non ha avuto diagnosi rispetto a chi è vaccinato e ha una diagnosi recente – si legge nel rapporto -. A parità di fascia di età e di condizione di pregressa infezione, in tutte le classi di età sopra i 12 anni, si osserva una riduzione del rischio di malattia Covid-19 severa associato alla vaccinazione. Se ad esempio un over 80 ha avuto una diagnosi recente, il rischio di una nuova malattia severa è 100 su 100mila se non è vaccinato, 49 su 100mila se ha una dose da più di sei mesi e 42 su 100mila se ha una dose da meno di sei mesi”. Inoltre, “si osserva una perdita dell’effetto protettivo contro l’infezione per Sars-CoV-2 con il passare del tempo, sia per l’infezione pregressa che per la vaccinazione. Si osserva anche una diminuzione dell’effetto protettivo dell’infezione pregressa e della vaccinazione contro la malattia severa, sebbene tale perdita sia meno evidente che contro l’infezione”. Per l’Iss, “i risultati descritti confermano la validità delle più recenti indicazioni del Ministero della Salute relative alla somministrazione delle dosi di richiamo”.