“Sensazionalismo e pietismo sono due rischi di quanto parliamo di disabilità sui media. Si tratta, in entrambe i casi, di una eccezionalità: porto in scena la disabilità solo quando rompe la linea della normalità. Che sia un atleta che vince le Paralimpiadi o una storia strappalacrime, la disabilità è vista come eccezione secondo la logica dell’abilismo. Bisogna, invece, seguire la logica della normalizzazione. Non negare la disabilità, ma raccontarla in forma inclusiva”. Lo ha detto ieri Elisa Giomi, commissaria dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, durante l’incontro “Disabilità e comunicazione: dal pietismo al sensazionalismo” promosso dall’Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede e dal Consiglio nazionale degli utenti a Palazzo Borromeo. “Non bisogna raccontare le persone disabili soltanto in quanto disabili”, ha osservato Giomi: “La Rai, ad esempio, attua un monitoraggio annuale che restituisce anche la rappresentazione della disabilità. Su circa 8.000 programmi, soltanto l’1,2% delle persone che appaiono sullo schermo hanno una disabilità. È una sotto-rappresentazione, che tende alla invisibilità”. In conclusione, Giomi ha invitato a considerare il modello proposto dalla BBC: “C’è un legame diretto tra il dietro le quinte e quello che va in onda. Per questo è fondamentale che gli autori, i giornalisti e tutti il personale che lavora ai programmi rappresenti in quota la popolazione generale. La BBC, ad esempio, oltre ad avere un 50% di uomini e donne prevede anche un 12% di persone disabili assunte”.