“Dobbiamo sempre avere speranza e fare di tutto perché l’impossibile diventi possibile”. È quanto afferma sul difficile processo di pace in Ucraina il card. Jean-Paul Hollerich, presidente della Comece, in un’intervista rilasciata al Sir al termine dell’udienza che la presidenza della Commissione degli episcopati dell’Unione europea ha avuto con Papa Francesco, lunedì 12 dicembre. “Abbiamo parlato molto di Ucraina”, racconta il cardinale. “Si vede che è una guerra che fa male al Papa perché ogni giorno c’è gente che muore, che soffre”. “C’è il freddo dell’inverno, la mancanza di cibo. La guerra continua e ogni giorno ci sono soldati e civili che muoiono. Questo pesa molto sul Santo Padre. Dobbiamo fare tutto il possibile per arrivare ad una pace giusta e bisogna fare di tutto anche per lavorare ad una riconciliazione perché senza riconciliazione, la pace non è possibile”. Riguardo ai passi concreti che in particolare le Chiese possono fare per aiutare il difficile processo di pace in Ucraina, il card. Hollerich dice: “Penso ad iniziative fatte innanzitutto insieme alla Kek, l’organismo ecumenico che rappresenta le Chiese ortodosse, protestanti e anglicane presenti in Europa. Stiamo pensando ad un’iniziativa per chiedere, con un appello, tutti insieme, una tregua per la pace”. Dopo 5 anni, la presidenza Comece è a fine mandato. L’udienza di ieri è stata quindi anche “un’occasione per ringraziare il Santo Padre per tutto quello che ha fatto per l’Europa e per l’Unione europea in questo tempo”, dice il card. Hollerich aggiungendo che a marzo non si ripresenterà per un secondo mandato per dedicarsi al compito che Papa Francesco gli ha affidato come relatore generale al Sinodo sulla sinodalità. “Il lavoro del Sinodo è molto impegnativo”, spiega. “Ed è difficile fare bene le due cose insieme”. E se il bilancio di questi 5 anni di lavoro alla Comece “è positivo”, lo sguardo è rivolto al futuro. “Vorrei – confida il cardinale – un’Europa dove la religione non sia percepita come una cosa privata ma dove tutte le religioni possano avere una voce pubblica, partecipare a dibattiti democratici e possano essere ascoltate come autorità morali perché la loro voce è necessaria all’Europa. A volte, la nostra può essere una voce critica, per esempio nei riguardi della politica delle migrazioni. Ma è importante che ci sia”.