“Diffondere la cultura della vita e del bene, promuovendo coraggiosamente la giustizia” e “contrastare la cultura del male e della morte, lottando senza mezzi termini contro l’ingiustizia”. Più concretamente, “si tratta di educare alla legalità” attraverso “il recupero e la cura dell’intimo rapporto che deve instaurarsi tra la coscienza, sia quella individuale sia quella collettiva, e il diritto, sia quello positivo sia quello naturale”. Lo scrive l’arcivescovo di Agrigento Alessandro Damiano, nel numero di novembre di “Vita Pastorale”, ricordando la “folta schiera di eroi e di santi” delle Chiese di Sicilia, “il più delle volte sconosciuti e nascosti, che hanno fatto di questo ideale la colonna portante della loro vita, della loro professione e della loro testimonianza, tanto in campo ecclesiale quanto in ambito civile”. In particolare, “la Chiesa agrigentina ha una testimonianza di prima mano e ancora freschissima”, quella del giudice Rosario Angelo Livatino, beatificato il 9 maggio dello scorso anno.
“Nel suo lavoro di magistrato”, osserva Damiano, Livatino “incontra il lato più oscuro del pensare e dell’agire umani, in una delle loro manifestazioni peggiori: la criminalità organizzata, l’organizzazione mafiosa, i suoi adepti e i suoi conniventi”. Eppure “non addomestica le proprie responsabilità per quieto vivere, ma va avanti. Va avanti con lucidità intellettuale, competenza professionale e integrità morale, e riesce a decifrare tanti meccanismi perversi della coscienza sia personale che sociale, diventando voce profetica dirompente in un contesto di assuefazione generalizzata al male”. “Nel suo andare avanti tra i solchi della storia umana alla sequela delle orme di Cristo, si ritrova man mano sempre più configurato a lui, fino al martirio in odium fidei, avvenuto il 21 settembre 1990, mentre si recava, come ogni giorno, a svolgere il suo lavoro in tribunale”. Nel messaggio indirizzato alle Chiese di Sicilia in occasione della sua beatificazione, i vescovi siciliani, accostandolo a don Pino Puglisi, hanno ribadito l’urgenza della “conversione dalle parole ai fatti”, di cui “i due Beati martiri sono stati testimoni esemplari”. Per questo, scrivevano tra l’altro i presuli, “non possiamo più tacere, ma dobbiamo alzare la voce e unire alle parole i fatti: non da soli ma insieme, non con iniziative estemporanee ma con azioni sistematiche”. “Questo invito – conclude Damiano – mi permetto di estendere all’intera Chiesa italiana, con l’augurio di diventare sempre più cercatori di giustizia e costruttori di vera sinodalità”.