“Malgrado alcuni segnali confortanti alcune debolezze del nostro sistema produttivo sembrano essersi cronicizzate, con il lavoro che appare intrappolato tra bassi salari e scarsa produttività. Per questo occorre pensare ad una ‘nuova stagione’ delle politiche del lavoro, che punti a migliorare la qualità dei posti di lavoro, soprattutto per i neoassunti e per i lavoratori a basso reddito, per le posizioni lavorative precarie e con poche possibilità di carriera, dove le donne e i giovani sono ancora maggiormente penalizzati. Lo ha affermato Sebastiano Fadda, presidente dell’Istituto nazionale per l’Analisi delle politiche pubbliche (Inapp), in occasione della presentazione alla Camera dei deputati del “Rapporto Inapp 2022 – Lavoro e formazione, l’Italia di fronte alle sfide del futuro”.
Per Fadda, “le politiche del lavoro devono integrarsi con le politiche industriali e con le politiche di sviluppo, in una strategia unitaria orientata al rafforzamento della struttura produttiva, alla crescita del capitale umano e dell’innovazione tecnologica, al rafforzamento della coesione e della sicurezza sociale. Una strategia che deve essere disegnata ed attuata a tutti i livelli territoriali con un coordinamento capace di rispondere alle sfide del profondo cambiamento strutturale in atto”.
Dal Rapporto emerge anche che relativamente ai salari, l’Italia è maglia nera tra i Paesi Ocse: nell’ultimo decennio (2010-2020), sono diminuiti dell’8,3%. “Questa condizione di stagnazione dei salari è resa più preoccupante dalla ripresa dell’inflazione – ha evidenziato il presidente dell’Inapp – per cui si torna a porre il problema dei meccanismi idonei a contrastare la riduzione del potere d’acquisto di tutti i redditi fissi”. “Le cause di una dinamica salariale così contenuta – ha spiegato – sono diverse, una di queste è il meccanismo di negoziazione dei salari. Resta bassa la quota di imprese che dichiarano di applicare entrambi i livelli di contrattazione (4%); Inoltre, in sette anni si è ridotto il numero di aziende che dichiarano di applicare un Ccnl (-10%), mentre si è più che duplicata la quota di imprese che dichiarano di non applicare alcun contratto (dal 9% nel 2011 al 20% nel 2018)”.