“Chiediamo che organizzazioni come la Commissione interamericana sui diritti umani (Cidh), la Missione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite in Bolivia, organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International prendano parte attiva nell’attuale conflitto sociale, in coordinamento con la società civile e le autorità, nonché i leader di tutte le parti coinvolte”. A chiederlo, nella prospettiva di una pacificazione sociale in Bolivia, sono 23 organizzazioni della società civile, tra cui diverse realtà ecclesiali (Repam, Fondazione Jubileo, e altre), sociali e ambientaliste, di fronte allo sciopero a oltranza che da ormai due settimane paralizza Santa Cruz de La Sierra e minaccia di estendersi anche ad altre località del Paese.
Motivo del contendere è il rinvio del censimento generale al 2024. Secondo i manifestanti, in tale caso i risultati del censimento non potranno, per ragioni di tempo, influire sulla distribuzione dei seggi alle prossime elezioni del 2025. “Riaffermiamo il diritto alla protesta e alla mobilitazione dei cittadini per il rinvio del censimento – si legge nel documento –, diritti che sono protetti da diverse convenzioni internazionali e, di conseguenza, non dovrebbero essere stigmatizzati o utilizzati per esacerbare e approfondire la polarizzazione politica e la situazione di alta vulnerabilità degli attori sociali, come le popolazioni indigene”. Al tempo stesso, “è inammissibile che la segregazione fisica della popolazione di Santa Cruz sia incoraggiata e giustificata”, incidendo su bisogni vitali della popolazione. “Queste. azioni sono inaccettabili e sono sanzionate nel diritto internazionale”.
Concludono le organizzazioni: “Chiediamo alle autorità del Governo centrale, dei Governatorati e dei Comuni, nonché ai rappresentanti di organi civici, di avere capacità di dialogo e di accordo. Su di loro pesa la corresponsabilità non solo di riportare la pace, ma anche di evitare tragici esiti, provocati da agenti estranei di violenza”.