“Chi scappa dalla guerra, chi scappa da quella guerra che è la fame e la povertà, che è la negazione della propria dignità, avrebbe preferito restare e non partire. Dal momento che è partito, è necessario aiutarlo”. Così il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha spiegato il senso dello slogan “Liberi di partire, liberi di restare”, con cui la Chiesa italiana affronta e propone di affrontare il tema delle migrazioni. Intervenendo alla giornata di studi con il titolo “Dialogo sui diritti umani. La tutela della libertà individuale e il contrasto alle nuove schiavitù”, svoltasi ieri all’Università di Bergamo, Zuppi ha ricordato che nella Bologna dell’anno Mille avvenne un’azione che unì umanesimo e utilitarismo, dando la cittadinanza a più di 5.000 persone altrimenti rimaste nel “limbo” della non-appartenenza e in balia degli sfruttatori. Con la cittadinanza si diede loro la possibilità di inserirsi nell’attività lavorativa: questo fece la fortuna di Bologna e siglò il “liber padadisus”. “Alzare muri di qualche metro, allargare muri di qualche metro, assieme alla vergognosa inconsistenza della cooperazione economica a favore di alcuni Paese”, ha denunciato il card. Zuppi, “vuol dire non guardare al futuro”.