“Quando la Chiesa si limita ad informare restringe il suo campo d’azione e finisce per essere confusa come una delle tante agenzie presenti e vocianti nell’agorà pubblica, perdendo quella differenza che la preserva dall’assuefazione alla chiacchiera”. È il rischio da cui ha messo in guardia mons. Domenico Pompili, vescovo di Verona e presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, intervenendo al convegno “Utente e password. Connessioni e profezia”. Comunicare, ha infatti ricordato il vescovo, “non è semplicemente trasferire delle nozioni, una sorta di trasporto di cose già pronte da apprendere, ma sviluppa un processo che mobilita tutte le energie della persona e la costringe a prendere posizione”. “La comunicazione – ha spiegato – trascende la gestione dell’informazione e collega l’intimo di una persona con quello di un’altra”. Ecco allora che, nella società mediale attuale, dove la rete “esprime bisogni autentici che siamo chiamati a decodificare”, è fondamentale che la Chiesa “sia sempre meno di nicchia e più minoranza creativa, meno strumento di trasmissione e più luogo di incontro, sempre più istituzione capace di accorciare le distanze per creare vicinanza”. In altre parole, “la Chiesa deve realizzare quello che la comunicazione esprime, cioè deve generare comunione”, ha sottolineato mons. Pompili, per il quale è decisivo restituire “il primato alla riflessione rispetto all’azione, alle relazioni rispetto al risultato e al lavoro a lunga scadenza rispetto all’attimo fuggente”.