“In quanto porta che permette di entrare in pienezza nel regno del Signore, la morte, lungi dall’essere il velo che copre la terra, è invece lo svelamento della identità di ciascuno e il compimento del suo progetto”. Lo ha detto, stasera, il card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, nella messa per la commemorazione dei defunti, in cattedrale.
“Il pensare umano ribaltato: la morte è una rivelazione e un passo d’amore. Questo, ovviamente, se siamo convinti che un Dio c’è, che egli dà senso a tutte le cose, e che questo Dio ci ama, perché ci ha creati per amore. La domanda su Dio diventa allora decisiva e preliminare a ogni domanda sulla morte, e l’annuncio della verità su Dio rimane centrale per la testimonianza dei credenti a questo nostro mondo. La morte non è la definitiva esperienza negativa che ci fa negare Dio, ma quell’esperienza ultima che svela il proprio significato solo nella fede in Dio”, ha proseguito il porporato, per il quale “la pagina dell’Apocalisse, con le sue potenti immagini, ci offre il senso della vita umana come relazione con Dio, fino ad abitare la sua città. Ma se questa è la pienezza a cui ci introduce la morte, la nostra unione con Dio è anche il segreto della nostra vita nel tempo. La città celeste che ci attende e che dà speranza alla nostra vita non è un’utopia, ma lo sbocciare nell’eterno di quel seme di umanità nuova che si è radicato nella nostra storia con la persona del Figlio di Dio fatto uomo”.
“La strada che ci conduce a questo cielo nuovo e a questa terra nuova ci è mostrata da Gesù nella pagina delle Beatitudini. Un programma di vita, la carta di identità del discepolo di Gesù, certamente, ma soprattutto una promessa di amore da parte di Dio, la certezza che, per chi si affida a lui, brilla una speranza sicura”, ha aggiunto il cardinale. E “il cielo che ci attende ha il volto di Cristo e di chi si conforma a lui nello spirito della Beatitudini. Questa terrà sarà un’anticipazione del cielo se riempiremo la nostra vita e le nostre relazioni con gli altri di questo stesso spirito”.
L’arcivescovo ha concluso: “Ciò che ci viene promesso oltre la morte diventa programma di vita per i credenti. La promessa di una vita oltre la morte non ci aliena da questo mondo, ma ce ne restituisce la responsabilità. Questa stretta unità tra il presente della fede e il futuro della visione ci sorregge nella speranza in questo tempo e ce ne rende attivi protagonisti per orientarlo verso le cose nuove che Dio farà per gli uomini, quando ‘asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate’ (Ap 21,4)”.