“Da più parti, ma in maniera più significativa da un settore dell’establishment americano sono arrivati chiari segnali del fatto che questa guerra è durata troppo, con conseguenze troppo ampie, e si sta rivoltando in un disastro sia per l’Ucraina sia per la Russia”. Così Fulvio Scaglione, per anni corrispondente da Mosca, commenta gli ultimi sviluppi diplomatici sulla guerra in Ucraina.
Il conflitto ha acuito “la crisi in Europa” e “le cose non è che vadano splendidamente negli Stati Uniti”, prosegue il giornalista, osservando come “si è visto bene che una parte dell’establishment politico americano ha mandato segnali soprattutto all’Ucraina e indirettamente alla parte russa che è arrivata l’ora di provare a recuperare un minimo di dialogo”. “Mi riferisco in particolare alle dichiarazioni del generale Mark Milley, capo dello Stato maggiore congiunto delle forze armate Usa” con le quali sono stati ricordati i dati relativi ai rifugiati ucraini, ai danni delle distruzioni, alle persone coinvolte sull’uno e sull’altro fronte che “devono ormai calcolarsi come minimo in 100mila uomini tra morti e feriti”; inoltre, “la Russia è diventata il secondo Paese più dipendente al mondo dalla Cina, e il primo è la Corea del Nord”. “In questo quadro – prosegue Scaglione – Milley ha detto che nessuna delle due parti potrà vincere militarmente”. Per cui ne consegue che il ragionamento dovrebbe essere “smettiamo di fare la guerra”. “Con l’inverno ci sarà sicuramente un rallentamento dei combattimenti”, aggiunge il giornalista, secondo cui “è il momento buono per riaprire il dialogo” anche perché altrimenti “entrambe le parti sfrutterebbero i prossimi mesi per ricostituire le scorte e rimettersi in forze”.
Ma, osserva Scaglione, “non tutto l’establishment americano è convinto della necessità di arrestare la guerra, soprattutto dal Dipartimento di Stato Blinken e gli ambienti vicini hanno l’idea di continuare la guerra per indebolire il più possibile la Russia”. Però, continua, “è significativo che ci sia questo dibattito al vertice politico statunitense”. “Ovviamente – rileva – bisogna fare i conti con la Russia e quello che Putin ha voluto dire al mondo con il più grosso attacco missilistico di tutta la storia già sufficientemente tragica di questo conflitto dice che il Cremlino non ha rinunciato ai propri propositi e che, eventualmente, vuole trattare da una posizione ‘di forza’”.