“La prima vittima della guerra è la verità. Una grande guerra è sempre purtroppo legata ad una grande bugia”. “Dalla verità che state raccontando, dipendono vite umane. La menzogna uccide. La verità salva. Questo, lo posso testimoniare”. Lo ha detto S.B. Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, che in questi giorni a Roma è venuto questa mattina al Sir per incontrare la redazione. L’arcivescovo maggiore di Kiev ha voluto ringraziare i giornalisti per la “serietà e l’oggettività”. Poi ha lanciato un’esortazione: “Non cedete alle manipolazioni ideologiche. C’è tanta ideologia attorno a quello che stiamo vivendo in Ucraina. Una disinformazione pagata e ben attrezzata. Non tutti riescono a prendere sul serio quello che sta succedendo con un’analisi seria. Il giornalismo di oggi è un giornalismo superficiale, che non si preoccupa di entrare nella profondità della realtà e delle situazioni. Si ripetono le frasi per sentito dire o per rispondere al sentimento comune. Scendete in profondità. Sono pochi coloro che sono capaci di farlo. Con le lacrime agli occhi vi ringrazio”.
L’arcivescovo maggiore di Kiev ha quindi ripercorso questi lunghi mesi di aggressione russa su vasta scala cominciata il 24 febbraio. “Il fronte si è fermato a 20 chilometri dalla mia casa”, ha raccontato Shevchuk. “Vedere le bombe e i missili cadere e gli elicotteri volare sul nostro cielo era quasi come Geremia che vedeva la distruzione di Gerusalemme e piangeva. Ero nella lista di quelli che dovevano essere fucilati. Sono vivo per miracolo”. Quando poi i russi hanno cominciato a ritirarsi da Kiev, la città e soprattutto le periferie erano piene di cadaveri e distruzione. “Quando sono andato a visitare una delle fosse comuni ritrovate – ricorda l’arcivescovo – mi sono avvicinato alla sua soglia e ho visto i volti, le mani legate, i segni delle torture. Ho cominciato a pregare. Ad un certo momento ho sentito che la terra sotto di me non era stabile. Allora ho capito che anche sotto i miei piedi erano sepolti altri cadaveri. Dentro una domanda: ‘Signore, perché io sono vivo e loro sono morti?’. Incontrando in questi giorni il Santo Padre e i responsabili di vari uffici della curia romana, dico sempre: meglio un cane vivo, che un leone morto. Evidentemente abbiamo ancora una missione da fare in questa vita”.