“Non si parte perché si è avventurieri o esploratori ma perché si è mandati, e questo permette un po’ di rimanere”. Ha raccontato così l’arcivescovo di Mosca, mons. Paolo Pezzi, la sua vocazione e l’inizio della sua missione nella “piccola Chiesa nella grande Russia” (dal titolo del libro-intervista a Pezzi di Riccardo Maccioni recentemente uscito per le edizioni Ares), all’incontro che si è svolto ieri sera a Ravenna organizzato dall’associazione “Giussani 100” e da “Il Sicomoro” in occasione del centenario della nascita del fondatore di Cl. È il dramma che tanti stanno vivendo ora in Russia, ha aggiunto, in collegamento da Mosca: “Due giovani sono venuti da me poche settimane dicendomi che avevano preso la decisione di emigrare in Europa e per i russi questo è molto doloroso perché hanno un senso della patria molto radicato. Ho detto loro: ‘È importante che concepiate questa partenza come una missione: questo permetterà di mantenere un legame con noi e lenirà le sofferenze’”. La missione, ha spiegato parlando della sua esperienza, “è anche la ragione del mio sì, quello che ormai quasi 30 anni fa mi ha fatto partire per la Siberia. Non stavo abbandonando nulla, ma ero chiamato a portare quello che avevo incontrato”. Tra le altre cose, anche tutti gli insegnamenti di don Giussani, “che ho incontrato dopo tante persone che l’avevano conosciuto – ha precisato -. È molto toccante questo per me: scoprire che il suo carisma si riconosceva in tante persone che l’avevano incontrato. Se ci pensate, questa è l’esperienza della Chiesa: noi non abbiamo incontrato Gesù, ma abbiamo incontrato persone che lo hanno conosciuto attraverso altri in quella grande catena che nel tempo arriva a Gesù”. “La paternità di Giussani nei miei confronti – ha concluso mons. Pezzi – si riverbera in coloro di cui io sono padre nella fede che sono inevitabilmente messi a confronto con il suo carisma. E questo può succedere perché don Giussani non attraeva a sé ma a Cristo. Questa è la paternità che io cerco di avere”.