In occasione della XX Giornata mondiale contro la pena di morte, che si celebra il 10 ottobre e che quest’anno è dedicata alla riflessione sul rapporto tra l’uso della pena di morte e la tortura o altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti, le Acat (Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura) di tutto il mondo lanciano un appello comune a partire dal caso di un uomo che in Repubblica democratica del Congo si trova nel braccio della morte in attesa di esecuzione. “Il caso è quello di Joseph Mwamba Nkongo”, viene spiegato in una nota: “Una delle tante persone condannate a morte ogni anno nella R. D. Congo, stato africano non abolizionista. Nkongo è stato ritenuto colpevole e condannato per l’uccisione della moglie in seguito a procedimento giudiziario viziato da numerose falle procedurali e macchiato da accuse di tortura che l’uomo avrebbe subito ad opera delle forze dell’ordine subito dopo il fermo. La condizione di Nkongo è simile a quella di altre 500 persone attualmente detenute nel braccio della morte”. Con questa condotta, la R. D. Congo “continua a ingrossare le fila dei Paesi che applicano ancora la pena di morte ma di fatto non la pratica dal 2003, il che significa che una persona condannata a morte può rimanere anche per anni nel limbo dell’attesa dell’esecuzione senza che ci sia una data precisa, con gravi conseguenze per la sua salute fisica e mentale”. “Questo tipo di condizione – sottolineano le Acat – era stata definita già nel 2012 dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e le condizioni di detenzione come ‘sindrome del braccio della morte’ configurandosi come vera e propria forma di tortura e dunque in violazione palese con gli impegni internazionali presi dallo stato africano e nello specifico la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”. Per questa ragione, in una lettera-appello indirizzata alle autorità congolesi, “le Acat chiedono al governo non solo di riesaminare il caso specifico, ma anche e soprattutto di commutare tutte le sentenze capitali e decidere per l’abolizione definitiva della pena capitale”.