“La segreteria di Stato non ha soldi propti. Gestisce fondi, tra cui l’Obolo di San Pietro. Anni fa, quando c’erano perdite di bilancio, si faceva un appunto per il Papa per autorizzare l’uso dell’Obolo. L’ultima parola spettava al Santo Padre”. Lo ha dichiarato Fabrizio Giachetta, dipendente della Segreteria si Stato, ascoltato oggi come teste dal Tribunale Vaticano nell’ambito del processo sugli investimenti finanziari della Segreteria di Stato a Londra. “L’Obolo di San Pietro – ha precisato Giachetta secondo quanto ha riferito il “pool” di giornalisti ammessi nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani – è l’unico fondo di cui il Santo Padre può disporre liberamente: gli altri fondi hanno finalità specifiche, non possono essere utilizzati al di fuori di quelle finalità”. La difesa del broker Gianluigi Torzi ha chiesto conto a Giachetta di un verbale relativo a quando in Vaticano operava l’avvocato americano Jeffrey Lena. Alla domanda se il famoso avvocato statunitense venisse pagato con i fondi dell’Obolo di San Pietro, dopo la presentazione di una fattura, il teste ha risposto: ‘A volte si, a volte no”. Quanto all’entità della cifra, che secondo la difesa di Torzi ammonterebbe ad 1.500.000 euro, Giachetta l’ ha definita “una cifra plausibile”. Nel corso dell’interrogatorio è emersa anche la questione legata alle medaglie d’oro del pontificato. Quelle in esubero, ha reso noto Fulvio Cesaretti, dipendente della Segreteria di Stato, venivano conservate in un apposito armadio all’interno dell’Ufficio coordinato da mons Alberto Perlasca, il quale era l’unico a disporre delle chiavi. “Mons. Perlasca – ha detto Cesaretti – consegnava le medaglie in esubero a terzi per lo squaglio, e poi venivano utilizzate come materiale per altri prodotti. Per l’eventuale vendita delle medaglie, invece, serviva l’autorizzazione dei superiori”.