Nei Paesi poveri 189 milioni di persone ogni anno sono colpite da disastri climatici. Si tratta di Paesi a basso reddito che pagano il prezzo più alto della crisi climatica, mentre aumentano le emissioni inquinanti e i profitti delle aziende (BP, Shell, Chevron, Exxon Mobil, Total e Eni) che producono energia da combustibili fossili. Nella prima metà del 2022 i profitti realizzati da 6 tra le principali multinazionali fossili superano per 70 miliardi di dollari il costo complessivo degli eventi climatici estremi nei Paesi in via di sviluppo. Dal 1991 gli eventi climatici estremi nei Paesi poveri sono raddoppiati causando oltre 676 mila vittime, il 79% del totale a livello globale. L’Africa – secondo i dati dell’African Development Bank – sta perdendo tra il 5 e il 15% di Pil pro-capite all’anno a causa dei cambiamenti climatici, pur essendo responsabile di meno del 4% delle emissioni inquinanti a livello globale. È la fotografia dell’emergenza climatica che emerge dal nuovo rapporto diffuso dalla Loss and Damage Collaboration, di cui Oxfam fa parte assieme ad oltre 100 ricercatori, attivisti e decisori politici da tutto il mondo. Il Report contiene anche un appello urgente ai leader mondiali in vista della Cop27 di novembre per un accordo sul finanziamento di perdite e danni subiti dai Paesi più vulnerabili. Complessivamente, 55 tra i Paesi più poveri al mondo hanno subito perdite economiche da eventi climatici estremi per 500 miliardi di dollari nei primi 20 anni del secolo. “Mentre i profitti per chi vende energia da combustibili fossili sono aumentati vertiginosamente da anni, milioni di persone che vivono nei luoghi più disagiati del pianeta pagano un conto salatissimo al cambiamento climatico – ha detto Francesco Petrelli, policy advisor di Oxfam Italia – Il comparto fossile ha realizzato profitti stratosferici tra il 2000 e 2019: un ammontare che supera di quasi 60 volte il costo della crisi climatica nei 55 Paesi più vulnerabili analizzati”. Critica, nel Rapporto, appare la situazione in Africa orientale, a causa della terrificante siccità che ha colpito i paesi dell’area, e in Pakistan dove le catastrofiche inondazioni di quest’anno hanno colpito direttamente almeno 33 milioni di persone e i costi sono stati stimati in oltre 30 miliardi di dollari. Eppure l’appello umanitario delle Nazioni Unite per le alluvioni è stimato in appena 472,3 milioni di dollari (poco più dell’1% del necessario) e finanziato solo per il 19%. Una risposta del tutto insufficiente per aiutare milioni di persone che hanno perso i loro mezzi di sostentamento, stretti nella morsa di fame, malattie, conseguenze psicologiche del disastro. Il Pakistan sarà costretto a richiedere un altro prestito al FMI per riprendersi dalle inondazioni. Se venisse istituito un fondo ad hoc per il finanziamento delle perdite e dei danni, risorse nuove e addizionali potrebbero arrivare sotto forma di sovvenzioni, per garantire che il Paese non sia gravato da nuovo debito all’indomani di un disastro causato dal clima. Nel Report si sottolinea che “alla Cop 27 bisognerà trovare un accordo sui finanziamenti necessari a fronteggiare le perdite causate dalla crisi climatica”. Alla Cop26 dello scorso anno, i Paesi in via di sviluppo erano uniti nel chiedere l’istituzione di un fondo ad hoc per il finanziamento delle perdite e dei danni, per garantire un approccio globale agli impatti climatici. Tuttavia la proposta è stata respinta dai Paesi più ricchi a favore di un dialogo triennale – il Dialogo di Glasgow – privo di obiettivi tangibili. Una scelta compiuta senza tener conto che ogni lieve aumento delle temperature globali comporterà ulteriori catastrofi climatiche con un conto in termini di perdite stimato tra i 290 e i 580 miliardi di dollari entro il 2030 per i Paesi in via di sviluppo. Nel calcolo non sono per altro incluse le perdite e i danni non economici, come l’impatto psicologico sulla popolazione o la perdita di biodiversità, gravissimi ma non completamente traducibili in termini monetari. “Senza un immediato cambio di rotta, non si potrà evitare un aumento di 2,7°C delle temperature globali rispetto ai livelli pre-industriali e questo avrà effetti ancor più devastanti”, conclude Petrelli.