Il 23, 24 e 25 novembre sarà interrogato mons. Alberto Perlasca, considerato il teste-chiave del processo in corso in Vaticano per gli investimenti della Segreteria di Stato a Londra. Si è conclusa con questo annuncio la 31ma udienza nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani, che ha visto l’interrogatorio di alcuni componenti della Gendarmeria vaticana e di un consulente esterno. Nell’interrogatorio di Luca De Leo, ispettore della Gendarmeria vaticana – ha riferito il “pool” di giornalisti ammessi in Aula – è emerso, tra l’altro, che in un cellulare di uno dei dieci imputati, Fabrizio Tirabassi, era presente una “app” insolita nella quale i messaggi, una volta letti in chat, si autodistruggevano: a tale chat partecipavano anche Raffaele Mincione e Enrico Crasso, ma non mons. Alberto Perlasca, capoufficio di Tirabassi. In Aula è stata inoltre proiettata una lettera del 17 aprile 2019, da cui risultava che la segreteria di Stato garantiva a Gianluigi Torzi il 3% del valore dell’immobile di Sloane Avenue, ed è stato dato conto di un documento del 26 novembre 2018, poi modificato e stampato con modifiche sostanziali, della cui presenza però secondo l’accusa non esisterebbe una copia fisica. Durante il suo interrogatorio, Luca Bassetti, della sezione giudiziaria della Gendarmeria vaticana, ha riferito della vicenda Logsic-Marogna, e in particolare dei nove bonifici effettuati dalla Segreteria di Stato alla Logsic e alla Inckerman, aventi tutti come causale “contributo volontario per missioni umanitarie”. Perlasca e Becciu, ha aggiunto Bassetti, concordavano importi, causale e Iban a cui inviarli. Il Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, ha quindi chiesto conto a Bassetti di una segnalazione dell’Aif relativa a due versamenti in contanti, pari a 500mila euro l’uno, emessi il 4 settembre 2018 e risultanti da una conversazione tra Becciu e Perlasca, nella quale il cardinale avrebbe detto: “Avrei bisogno di 14.150 euro per iniziare la famosa operazione”. Di tali versamenti, ha riferito il teste nell’interrogatorio, Becciu avrebbe parlato anche con il Papa, ricevendo la sua autorizzazione ad effettuarli. A Bassetti è stato poi chiesto se Cecilia Marogna avesse soggiornato anche in alberghi, circostanza confermata dal teste, che ha parlato di due alberghi in Sardegna: tutto ciò confuterebbe quanto affermato in precedenza da Becciu, il quale aveva dichiarato che Cecilia Marogna aveva dormito a casa sua, e non in albergo, perché aveva paura del Covid. Durante l’udienza di oggi è stato sentito come teste anche Gianluigi Antonucci, componente della Gendarmeria vaticana presente alle perquisizioni ad Ozieri nella sede della Caritas. A proposito dei finanziamenti del card. Becciu alla Cooperativa Spes, di cui era titolare il fratello del cardinale, Antonucci ha fatto presente che “gli utili realizzati dalla Spes restavano nella Cooperativa, non andavano alla Caritas. Ci sono contributi in tre anni di 1.260mila euro: non risulta nessuna restituzione dalla Spes alla Caritas”. La causale indicata da Becciu, secondo quanto riferito da Antonucci, era per “varie attività caritatevoli”. Il presidente del tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha ricordato che “nel capo di imputazione non c’è l’aspetto della Cei”.