Lavoro: Tassinari (Acli), “in atto un regresso sociale, un ritorno a quando l’occupazione delle donne era di serie B per la famiglia”

“Il lavoro povero o fortemente vulnerabile è ormai quotidiana normalità per molte donne soprattutto giovani, evidentemente ancor più se immigrate”. Lo ha dichiarato Stefano Tassinari, vicepresidente nazionale delle Acli e responsabile Area Lavoro, commentando i dati dell’indagine “Lavorare dis/pari, ricerca su disparità salariale e di genere”, realizzata dall’Area Lavoro delle Acli nazionali, in collaborazione con il Coordinamento Donne Acli, e presentata questo pomeriggio al Palazzo Altieri di Roma. “C’è probabilmente in atto un regresso sociale, un ritorno a quando l’occupazione delle donne era il lavoro di serie B della famiglia. A conferma che il sistema Paese, nonostante molta economia responsabile e innovativa, ha negli ultimi decenni prevalentemente preso la strada del ‘lavorare peggio pur di lavorare’. Serve invertire la rotta innanzitutto, ma non solo, mettendo al bando tanto lavoro indegno che ad oggi resta legale o ampiamente tollerato”.
Da un sondaggio sottoposto a uomini e donne adulti emerge che il divario di genere rispetto ai redditi da lavoro sussiste anche tra lavoratori/trici con caratteristiche simili, presentandosi più alto per i lavoratori e le lavoratrici stabili nel settore privato (dove i redditi delle donne risultano particolarmente bassi) rispetto al settore pubblico (circa 26 punti percentuali), dove i redditi bassi si riducono e le differenze di genere anche. Il massimo divario si registra tra i lavoratori e le lavoratrici non standard, con un divario che supera i 30 punti percentuali.
Inoltre, a livelli più elevati di istruzione corrispondono livelli di reddito da lavoro superiori per entrambi i generi, sebbene con le dovute differenze: se, infatti, il 39% degli uomini laureati dispone di redditi superiori ai 2000 euro, ciò accade solo per il 17,7% delle donne laureate.
L’indagine ha anche evidenziato delle “zone grigie” del lavoro femminile. Ad esempio, è risultata consistente tra le donne la percentuale di lavoratrici che ha dichiarato di avere contratti per non più di 30 ore settimanali, eppure di lavorare full time (18,4% contro appena 4,7% tra gli uomini). Questa apparente contraddizione potrebbe celare un orario di lavoro prolungato in cui viene contrattualizzata sono una parte delle ore lavorate.
“La nostra ricerca ha confermato la triste realtà: negli anni Duemila disuguaglianza discriminazione e povertà continuano a viaggiare assieme – ha dichiarato Chiara Volpato, responsabile nazionale del Coordinamento Donne Acli –. Si persiste a tagliare i fondi alla cultura e all’educazione senza pensare invece che sarebbero un ottimo investimento colpendo di fatto la vittima più fragile, la donna specialmente se giovane”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Europa