Famiglia cristiana: card. Ravasi, “io mi immagino nato con un libro in mano”

“Io mi immagino nato con un libro in mano”. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente emerito del Pontificio Consiglio della cultura ed ex prefetto della Biblioteca Ambrosiana, sintetizza così, in un’intervista rilasciata a Famiglia cristiana, nel numero in edicola da domani, la sua passione per la lettura. “La Bibbia è prima di tutto e soprattutto un testo universale, uno dei grandi libri fondamentali”, spiega il cardinale: “Non solo per la religione, in questo caso la religione ebraico-cristiana. È fuor di dubbio, infatti, come ha scritto in un suo saggio lo studioso canadese Northrop Frye, che la Bibbia è il grande codice della cultura occidentale. Per questo motivo il credente la assume come Parola di Dio, lampada per i passi nel cammino della vita, come dice il Salmo 119. Ma anche il non credente non può prescindere da questo grande codice, che è come la stella polare”. “Io vorrei fare soltanto due esempi tra i mille possibili”, prosegue il porporato. “Il primo è di un filosofo fieramente anticristiano dell’Ottocento, morto nel 1900, proprio all’inizio del secolo: Friedrich Nietzsche. Egli continuava a ripetere che dovevamo cancellare le radici cristiane e riprendere quelle classiche del mondo greco-romano, al di fuori di ogni orizzonte di tipo morale. Eppure confessava che ‘tra ciò che sentiamo alla lettura dei Salmi e ciò che proviamo alla lettura di Pindaro e di Petrarca c’è la stessa differenza tra la patria e la terra straniera’. Riconosceva che lì, nella Bibbia, è il nostro mondo”. “L’altra testimonianza che voglio evocare”, precisa Ravasi, “è quella di un regista agnostico, tra i tanti che io amo, il polacco Krzysztof Kieslowski, il quale ha dedicato dieci film di un’ora ciascuno al Decalogo. Egli diceva che i Dieci comandamenti da noi sono violati ogni giorno. Noi li ignoriamo, eppure non possiamo fare a meno di riconoscere che essi sono lassù nel cielo della nostra storia e della nostra esperienza personale, come una costellazione che continuamente ci illumina nel cammino della notte. Ecco, in questa luce io direi che la Bibbia è veramente cultura, nel senso più alto del termine”. I giovani, infine. “Sono consapevole di non avere più il loro linguaggio dei giovani”, conclude Ravasi. “Sono nativi digitali; noi, al massimo, siamo migranti digitali. Pensiamo soltanto al linguaggio del cellulare, che ricorre persino alla pittografia, all’ideografia, cioè a dei segni, neppure alla parola scritta nella sua integralità. Per questo motivo, è importante per noi studiare il loro linguaggio, in modo da avere almeno una base comune. Non bisogna essere né integrati né apocalittici, cioè né schiavi di questo mondo, ma neppure tra coloro che dicono che i giovani sono maledetti perché seguono questi viali informatici dove corre la violenza, l’aggressività, la sessualità devastata. Bisogna quindi studiare e comunicare anche la Bibbia attraverso questa via”.

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