Libri: card. Bagnasco, “I cristiani recuperino la capacità di argomentare la fede”

“A noi tocca oggi in modo particolare recuperare un terreno che forse abbiamo dimenticato da tempo e cioè la capacità di argomentare, anche in chiave razionale, i valori etici e la visione antropologica personalista che deriva proprio dal Vangelo ma che non è esclusiva del Vangelo”. Ad affermarlo il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo emerito di Genova, in occasione della presentazione del volume ‘Pastori dentro. Chiesa, società e persona’ che si è svolto ieri sera a Genova. Il volume, edito da San Paolo, raccoglie le prolusioni svolte durante il suo incarico di presidente della Cei suddivise, non in ordine cronologico, ma per tematiche. “Il dialogo tra fede e ragione – ha detto il porporato – è qualcosa di assolutamente indispensabile perché è la struttura della fede e dell’uomo che richiede la fede da una parte e la ragione dall’altra. La chiesa, infatti, ha sempre rifiutato il fideismo, che è credere per credere e la storia del pensiero umano e della teologia hanno sempre operato questa duplicità tra fede e ragione”. Il card. Bagnasco ha quindi ricordato che, “sul diritto di parola dei cattolici, e dei credenti in generale, nel dibattito pubblico, per la formulazione delle leggi civili, pensatori come Habermas, Rawls e come Schmitt e tanti altri sono passati da decenni da una posizione assolutamente negativa, che vietava il diritto di parola a qualunque credente – tanto più se cristiano e cattolico -, ad una posizione motivata per questo diritto. L’unica condizione che essi indicavano per il diritto alla parola, e alla formulazione delle leggi civili da parte dei cristiani e dei cattolici, è che usassero un linguaggio istituzionale senza appellarsi ad una autorità rivelata e questa condizione è più che ragionevole”. In precedenza, il card. Bagnasco aveva affermato che “la mutazione antropologica in atto è il problema assolutamente più grave del mondo contemporaneo”. Tale cambiamento, ha sottolineato, è “un inquinamento culturale che mira a mutare l’identità umana, e con essa il modo di vivere e di fare società” ed “è il problema più grande in mezzo ai grandi problemi del mondo contemporaneo. È un problema e una sfida gravissima tanto più perché si svolge al di sopra delle nostre teste, in modo spesso invisibile, e quindi poco presente alla coscienza critica dell’uomo contemporaneo che oggi è molto mancante e molto debole”. Ricordando, inoltre, i suoi anni quale presidente della Cei, il porporato ha ricordato che, dopo ogni prolusione, “spesso i commenti pubblici che seguivano le prolusioni contenevano un riconoscimento e un invito: da una parte grandi lodi, plauso e vicinanza per la prassi della carità della Chiesa italiana – che spesso era intesa come filantropia, e solidarietà umanitaria, cose molto nobili ma non la carità evangelica – e dall’altra l’invito a tacere”. “Sul pensiero della gente – ha sottolineato l’arcivescovo emerito di Genova – ci sono realtà che è come se dicessero alla chiesa: ‘A pensare a come la gente pensa ci pensiamo noi, voi fate la solidarietà'”.

 

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