Adozioni internazionali a picco. Dai 4.310 bambini nel 2010 ai 1.205 del 2019, fino ai 680 del 2021. Nei primi sei mesi del 2022, sono 273 le procedure realizzate. Ad analizzare il fenomeno in un’intervista al Sir – tra Paesi chiusi, guerra, fecondazione assistita, tempi lunghi e costi elevati – è Cinzia Bernicchi, esperta di adozione internazionale e consulente dell’associazione Aibi – Amici dei bambini. Primo problema, spiega, “lo stop di Paesi importanti nei rapporti con l’Italia. Primo fra tutti la Repubblica popolare cinese che dall’inizio della pandemia non ha più fatto concludere un’adozione. Molti minori venivano da lì e diverse coppie sono ancora in attesa”. Anche “Federazione russa e Ucraina sono bacini significativi ma la guerra ha complicato tutto”. Frontiere chiuse anche in Bielorussia; in stand by da anni la Cambogia, ferma da moltissimi anni. A questo si aggiungono i costi della procedura, la lunghezza dell’iter adottivo, “percorsi complessi che possono durare anche 4 o 5 anni”, e l’età media dei bambini adottabili, oggi intorno agli otto anni, “di cui oltre il 70% sono minori special needs che non tutte le coppie si sentono di accogliere”. Non ultimo le tecniche di procreazione assistita grazie alle quali nel 2019 sono nati in Italia 14mila bambini. Una procedura che, afferma Bernicchi, “ha certamente influenzato il trend. Lo vediamo anche noi operatori leggendo le relazioni delle coppie che arrivano da noi per conferirci l’incarico per portare a termine la procedura di adozione. La maggior parte di loro ha tentato i percorsi di fecondazione assistita come prima via per avere un figlio. In caso di insuccesso si sono rivolti all’adozione”.