Il 30 gennaio, ultima domenica del mese, si celebra come di consueto nel mondo la 69ma Giornata Mondiale dei Malati di lebbra (Gml). Per l’occasione i volontari Aifa – Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau – saranno presenti in questa occasione nelle piazze e nelle parrocchie di tante città italiane con banchetti e iniziative di sensibilizzazione. Proseguiranno le attività nel corso delle settimane successive così da raggiungere il numero di 600 occasioni di incontro sia fisiche che virtuali con gli italiani. La pandemia da Covid19 ha colpito in modo particolare i malati di lebbra e le loro famiglie che si sono trovate in una posizione di straordinaria vulnerabilità. In tempi normali la malattia colpisce 200.000 persone ogni anno e nel mondo vivono oltre 3 milioni di persone con disabilità come conseguenza. “Non dimenticare la lebbra”, affermano dall’Aifo, è diventato negli ultimi mesi un imperativo, tanto più che i dati dell’Oms segnalano un apparente diminuzione del 37% delle nuove persone colpite dalla malattia, apparente perché la pandemia ha intaccato anche la capacità di raccogliere dati completi ed affidabili, oltre alla possibilità di prevenire e curare. La lebbra fa parte del gruppo di 20 patologie classificate come Malattie Tropicali Neglette (Mtn), dimenticate perché, sebbene diffuse complessivamente in 149 Paesi, colpiscono le regioni più povere ed emarginate, dove sono carenti le strutture sanitarie, dove l’azione politica è meno presente, dove la popolazione non ha risorse sufficienti per curarsi. Anche per questo, le Malattie Tropicali Neglette non suscitano da parte dell’industria farmaceutica investimenti nella ricerca per prevenirle e curarle. “Non pensiamo che un malato di lebbra sia guarito quando ha preso i farmaci e non è più affetto dalla malattia – dice Antonio Lissoni, presidente di Aifo – perché continuerà ad essere allontanato ed escluso. Sarà guarito solo quando lui avrà acquisito la capacità di autonomia, anche economica, e potrà rientrare come una risorsa nella sua famiglia. Sarà guarito quando avrà recuperato la dignità di persona, di membro attivo della comunità. L’impegno di Aifo è quello di trasmettere consapevolezza affinché la sua inclusione possa diventare un’opportunità di sviluppo di tutta la comunità”.